La storia del Teatro Sociale della Concordia di Portomaggiore, dalla decadenza alla rinascita.
“Posso deporre la mia anima, per poi riprenderla una seconda volta”
Si legge questo al nono passo del “Fisiologo”, il misterioso libro risalente all’epoca tardo-antica riconosciuto dalla religione cristiana come suo primo bestiario ufficiale.
L’opera, scritta ad Alessandria d’Egitto da autore ignoto, è nientemeno che un manuale di riconoscimento delle specie viventi e inanimate.
Tuttavia, possiede una particolarità. Infatti, il “Fisiologo” annovera tra i suoi quarantadue passi anche gli animali cosiddetti mistici, gli stessi che oggi vengono descritti nelle più note saghe fantasy.
Nelle pagine di questo immenso albo naturalistico, a metà strada fra sogno e realtà, trova spazio una creatura ben più famosa di tutte le altre, nonché protagonista di miti e leggende sin dagli albori dei popoli mesopotamici: l’Araba Fenice.
Simbolo di resilienza per antonomasia, il celebre uccello dal piumaggio di fuoco è noto per la capacità di rinascere dalle sue stesse ceneri ed è stato oggetto di ricerca per numerosi studiosi del periodo classico.
All’Araba Fenice il “Fisiologo” dedica proprio il suo nono capitolo, descrivendola come un essere capace di morire deponendo la sua anima e di risorgere al tempo stesso, riprendendola tra le ali una seconda volta.
La straordinaria dote dell’Araba Fenice si è tramandata sino ai giorni nostri e rappresenta la metafora perfetta per raccontare la storia un teatro, che perse la sua anima più di mezzo secolo fa e che si appresta, fortunatamente, a recuperarla: il Teatro Sociale della Concordia di Portomaggiore.
Sito in un angolo di corso Vittorio Emanuele II a Portomaggiore, il Teatro Sociale della Concordia è stato il fiore all’occhiello dell’omonima cittadina ferrarese.
Gioiello del Neoclassicismo architettonico, fu costruito nella prima metà dell’Ottocento dall’architetto Giovanni Tosi e ospitò sul suo palcoscenico alcune delle più importanti compagnie italiane d’arte drammatica.
Sopravvissuto a sconvolgimenti epocali e uscito indenne da due guerre mondiali, il Teatro Sociale della Concordia versa oggi in condizioni drammatiche.
Sebbene il pericolo di crollo sia stato scongiurato grazie a interventi di recupero parziali, lo stato di abbandono resta comunque grave e tutta l’eleganza dei tempi che furono continua a sgretolarsi pezzo dopo pezzo.
Eppure, la storia del Concordia di Portomaggiore ha dell’incredibile.
Infatti, questo tempio dell’arte sconsacrato sarà uno dei pochissimi teatri decaduti d’Italia a veder riaperto il suo sipario, ricevendo il regalo di una seconda vita.
Proprio come l’Araba Fenice, il Teatro Sociale della Concordia si appresta a risorgere dalle sue stesse rovine, ridando lustro e giustizia ad un passato che parla d’arte e tanta maestria.
La prima vita del Teatro Concordia di Portomaggiore ha inizio nel 1822.
Un gruppo di tre notabili locali composto da Maria Marzola, Onorato Altieri e Fernando Vaccari notifica l’acquisto di un terreno pari a 1000 ettari nella zona attualmente occupata da corso Vittorio Emanuele II e dalle vie attigue.
Tale appezzamento, composto da terra nuda ed edifici preesistenti, era gestito in condivisione dal dottor Nepomuceno Tebaldi (portuense) e dalla Mensa Arcivescovile di Ravenna.
Dopo l’acquisto da parte dei notabili, il terreno rimane inutilizzato per ben quattordici anni, finché nel 1836 i tre borghesi proprietari decidono di costituirsi in società assieme ad altri elitisti portuensi per dare una destinazione al loro lotto.
La soluzione proposta dal consiglio societario era sfruttare il terreno per la costruzione di un teatro, di cui Portomaggiore era al momento sprovvista, affinché sia gli artisti sia i cittadini del territorio godessero di uno spazio per esprimersi e condividere cultura.
Fino al primo Ottocento, infatti, a Portomaggiore non esisteva alcuna sede stabile per gli spettacoli d’arte drammatica.
Le compagnie teatrali dovevano accontentarsi di spazi non sempre corrispondenti alle loro esigenze e mutevoli di volta in volta, rendendo difficoltosa e poco sicura la rappresentazione delle opere.
Al fine di risolvere il problema, adeguandosi di conseguenza ad altri comuni del ferrarese, la società delibera per la costruzione di un nuovo teatro e affida il progetto al noto architetto e ingegnere Giovanni Tosi.
Nato a Ferrara, Tosi non era affatto nuovo a Portomaggiore: era infatti capomastro durante i lavori di ristrutturazione al municipio e le sue doti lo avevano reso un professionista molto richiesto in tutta l’Emilia-Romagna.
Anni più tardi, la sua fama sarebbe arrivata anche oltreoceano, col suo approdo nel 1885 in Uruguay e il grande contributo dato al piano d’urbanizzazione della capitale Montevideo.
La progettazione del nuovo teatro di Portomaggiore, pertanto, non è che un intarsio nel suo curriculum dorato.
Con l’apertura del cantiere e la costante supervisione della società mandante, nel 1840 l’ingegner Tosi mette all’opera la sua squadra e nel giro di pochi anni il futuro teatro prende le forme che porta ancora oggi.
C’erano voluti anni di pazienza e discussioni, ma quel progetto su carta era finalmente diventato realtà.
A distanza di quattro anni dall’avvio dei lavori, nell’autunno del 1844 il nuovo Teatro Sociale di Portomaggiore può dirsi finalmente completato.
Di comune accordo con la società amministratrice, l’ingegner Tosi intitola l’opera alla dea Concordia, simbolo di armonia e vita di comunità nella mitologia romana.
Da quel momento, quindi, la struttura prende il nome definitivo di Teatro Sociale della Concordia.
La serata inaugurale viene fissata in data 15 ottobre e registra subito un successo da tutto esaurito.
A calcare per primi il palcoscenico del Concordia sono gli artisti della Compagnia di Luigi Domeniconi, attore e capocomico riminese balzato alle cronache per aver interpretato Paolo nella Francesca da Rimini del patriota Silvio Pellico.
La loro interpretazione de Il Poeta e la Ballerina del genovese Paolo Giacometti riscuote il plauso di pubblico e critica, aprendo una lunga strada di fortunate stagioni.
Si rappresentano spettacoli d’ogni genere, dalla lirica alle operette, fino alla prosa, al varietà e all’illusionismo.
Tanti sono anche gli ospiti di spicco, tra i quali si annovera la celebre Compagnia dei fratelli Ninchi.
Ci sarebbero voluti altri vent’anni prima che l’Italia, quel 17 marzo del 1861, si unisse sotto un’unica bandiera.
Tuttavia, il Teatro Sociale della Concordia di Portomaggiore stava già radunando a sé tutti i grandi nomi della scena teatrale nazionale.
Alla sua inaugurazione, il Teatro Sociale della Concordia di Portomaggiore si presentava come una sala tradizionale di forma ellittica, conforme ai dettami architettonici del teatro all’italiana.
Costruita su due piani, la struttura si presentava all’esterno come un normale edificio di stampo neoclassico.
La facciata constava di tre ingressi ricavati in un bugnato sobrio dal colore molto chiaro, sovrastato da una cornice marcapiano che lo separava dalla sezione superiore.
Quest’ultima era scandita da una serie di cinque finestre trabeate, sulle quali campeggiavano cinque mezze lune decorate con motivi classicheggianti a bassorilievo.
Chiudeva la composizione il timpano, realizzato dallo scultore Gaetano Davia, dov’era scolpita a bassorilievo l’effige della Concordia nella tradizionale posa distesa con ramo d’ulivo e cornucopia.
Gli interni partivano dall’atrio d’ingresso a forma ovale, dove confluivano i tre portali esterni e aveva sede la biglietteria.
Dall’atrio si diramavano le scale d’accesso al foyer del primo piano, dotato di spazio caffè, e il corridoio d’entrata alla platea.
All’accoglienza del pubblico era riservato un totale di 450 posti, suddivisi tra la stessa platea e i 46 palchi disposti su tre ordini.
Questi ultimi erano ad esclusiva fruizione dei notabili portuensi, che li acquistavano per le proprie famiglie al fine di godersi gli spettacoli nelle postazioni migliori.
Sotto il palcoscenico si diramava un fitto sottopalco, utilizzato sia dai macchinisti sia dalle compagnie per apporvi gli oggetti di scena, mentre il retropalco posto dietro le quinte godeva di scale riservate per accedere ai camerini del piano superiore.
Le decorazioni della sala rispecchiavano a pieno lo stile neoclassico, con dettagli sobri nei singoli elementi ma eleganti nel loro insieme.
Le colonnine dei palchi possedevano fregi con foglie d’acanto, motivo rintracciabile anche nei contorni della finta volta superiore, accompagnati da rilievi ritraenti la doppia maschera simbolo del teatro classico.
Quasi a scandire il corpo centrale della volta, invece, campeggiavano otto oculi contenenti ognuno un rosone di legno, decorato con motivi ornamentali fitomorfi.
Tali oculi facevano da cornice ad un rosone centrale più grande, realizzato a mo’ di botola con due lati lignei apribili.
Da qui, infatti, veniva calato il lampadario per l’illuminazione interna e al tempo stesso issato dentro al graticcio per la manutenzione ordinaria.
Proprio il lampadario merita una menzione d’onore: originariamente funzionante ad olio, con la dotazione della corrente elettrica viene dotato di lampade a tungsteno, di gran lunga più pratiche e sicure.
Nel suo complesso, il Teatro Sociale di Portomaggiore era una sala piuttosto modesta ma perfettamente funzionale al suo contesto di provincia.
Dall’epoca post-unitaria in particolare, il Concordia ha avuto modo di affermarsi come spazio di prim’ordine in tutto il ferrarese, riscontrando grande affetto dal sempre più affezionato pubblico portuense.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, il Teatro Sociale della Concordia di Portomaggiore torna operativo con le consuete stagioni di opera e prosa.
Gli spettacoli al Concordia diventano una vera e propria medicina per la comunità, ancora affetta dai dolori del conflitto e dallo spopolamento causato dai tanti (troppi) morti sul fronte carsico.
Con l’avvento del regime fascista al governo del Paese negli anni Trenta, anche il mondo artistico subisce grossi sconvolgimenti.
In ottemperanza al decreto del Duce, che prevedeva l’utilizzo dei luoghi di pubblico spettacolo per la diffusione della propaganda, il Concordia di Portomaggiore vede completamente alterata la sua offerta culturale.
Le rappresentazioni teatrali vengono dimezzate, gli spettacoli di varietà e d’illusionismo vengono stoppati e sostituiti con serate danzanti.
A cadenza regolare, inoltre, sul palcoscenico del Concordia si tenevano comizi politici e convegni di stampo storico-filosofico, volti a diffondere le teorie antropologiche fasciste dopo l’emanazione delle leggi razziali.
Con lo svolgersi della Seconda Guerra Mondiale, l’intera provincia di Ferrara cade in una spirale d’isolamento e distruzione.
Tra il 1944 e i 1945 Portomaggiore subisce tre pesanti bombardamenti, da cui esce completamente devastato.
Si combatte anche a terra, per le strade e i vicoli della cittadina, mentre squadriglie di bombardieri Alleati infliggono grosse perdite tanto ai fascisti quando ai partigiani trovatisi nel mezzo.
Eppure, forse per miracolo o per pura casualità benevola, il Teatro Sociale della Concordia ne esce del tutto illeso.
Tuttavia, dove non arrivano le bombe arriva la mano dell’uomo.
Alla fine del conflitto, il Concordia di Portomaggiore usciva integro ma violato nei suoi interni, a causa dei saccheggi perpetrati da sciacalli e combattenti.
Dopo i difficili anni della ricostruzione, in cui fu usato dapprima come stalla per animali e poi come ricovero per sfollati, il Teatro Sociale della Concordia tentò la riapertura e organizzò nuovi spettacoli aggiungendo al cartellone le proiezioni cinematografiche.
Le cicatrici della guerra, però, erano ancora fresche e i nuovi membri della società non riuscivano a recuperare i ritmi dell’epoca dei loro padri.
Nel 1955, in seguito a un’ispezione, l’Ufficio Tecnico Comunale dichiara la struttura inagibile per motivi di pubblica sicurezza e ne decreta l’immediata chiusura.
Agli eredi della società non restava altro che prendere atto del provvedimento e porre i sigilli alle porte del teatro.
Da allora, il Concordia di Portomaggiore è condannato alla chiusura senza fine, lasciato sprofondare nell’oblio del tempo che fugge.
Portomaggiore rimane senza il suo teatro per più di trent’anni.
Dalla chiusura avvenuta nel 1955, infatti, il Concordia resta avvolto in una coltre di silenzio e indifferenza.
Nessuno si prende carico della sua messa a norma, nessuno se ne occupa né se ne vuole occupare in futuro.
Intanto, lo stato d’abbandono diventa sempre più grave e l’intonaco inizia a sciogliersi assieme ai bassorilievi della facciata.
Anche gli interni, prevalentemente lignei, cominciano a marcire sotto il peso dell’umidità.
La situazione di degrado procede indisturbata fino al 1984, quando negli uffici comunali di Portomaggiore avviene un repentino cambio di rotta.
L’amministrazione è pronta a prendersi carico del teatro e avvia le trattative con la società amministratrice per rilevare completamente la struttura.
L’operazione, però, si rivela estremamente lenta e complicata.
Infatti, soltanto pochi eredi delle famiglie palchettiste risiedevano ancora a Portomaggiore o nella provincia di Ferrara.
Gran parte dei discendenti dei membri societari, invece, era sparsa per il mondo intero.
Comincia quindi una macchinosa caccia per rintracciare i successori dei soci originari, che giunge al termine soltanto a metà degli anni Novanta.
A quel punto, il Comune di Portomaggiore prende il posto della società e diventa proprietario dell’immobile ormai diroccato.
Nella speranza di evitarne il crollo, l’amministrazione approva un pacchetto di lavori urgenti per il Concordia e trova l’appoggio di tutta la cittadinanza.
Viene completamente rifatto il tetto, ristrutturata la facciata e messo in sicurezza il foyer del primo piano, assieme all’atrio d’ingresso al piano terra.
Nel 2000 avviene l’ultima pulizia della facciata, che le conferisce l’aspetto attuale e rende nuovamente agibile la zona d’accoglienza del teatro.
Dall’ultimo restauro, il Teatro Sociale della Concordia di Portomaggiore è tornato in uso alla comunità, seppur in minima parte.
L’atrio e il suo foyer ospitano periodicamente mostre temporanee di fotografia e pittura, oltre che esposizioni permanenti dedicate ai quadri del pittore ferrarese Federigo Bernagozzi e ai ritratti del collega Remo Brindisi.
Prima della pandemia, il ridotto del Concordia ha ospitato conferenze sulla sua storia e sul passato dell’amata Portomaggiore.
Riccardo Vlahov Andrea Scardova
Quel che resta del Teatro Sociale della Concordia di Portomaggiore è confinato oggi in un’area del ridotto interdetta al pubblico.
In platea le poltroncine sono scomparse da decenni, al loro posto non c’è nient’altro se non cumuli di polvere e travi collassate.
I palchi sono scrigni vuoti dati in pasto alla muffa, sebbene l’antico intonaco rosso resista ancora con sparute tracce sulle pareti.
Del palcoscenico non resta nulla eccetto il pianale, peraltro instabile e ingabbiato in un cappotto di legno per sicurezza.
Quinte e sipario sono spariti, lasciando in bella vista il retropalco con le sue scale mezze sgretolate.
La finta volta non esiste più: gli oculi laterali sono vuoti e l’unico rosone ad essersi conservato è quello centrale, oggi esposto nel ridotto.
La copertura è completamente crollata, rendendo evidenti le travature lignee del graticcio dove un tempo veniva issato il lampadario.
Tutta la mobilia è scomparsa, così come le macchine di scena e il bassorilievo del timpano di Gaetano Davia.
È una tomba il Teatro Concordia di Portomaggiore, un’urna gigantesca in cui giacciono le ceneri dei suoi antichi fasti.
Fasti che parlano di gioia, spettacolo e comunità, che ricordano il suo passato da Fenice dell’arte ferrarese.
La fenice emiliana di Portomaggiore è senz’altro morta più di sessant’anni fa, ma come l’Araba Fenice del “Fisiologo” è pronta a risorgere.
Dopo una lotta trentennale, nel 2018 la richiesta dei cittadini di Portomaggiore è stata approvata e il CIPE ha sbloccato fondi per 3,5 milioni di euro al fine di riqualificare il Teatro Sociale della Concordia.
Entrato a pieno titolo nel piano “Cultura e Turismo” del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE), il Concordia potrà quindi tornare alla sua funzione originaria e accogliere, in futuro, nuove generazioni di artisti e spettatori.
La ristrutturazione completa ha preso avvio alla fine del 2020 e nel giro di qualche anno, si spera, strapperà il teatro alla decadenza per donargli nuova vita.
Quella del Teatro Sociale della Concordia di Portomaggiore è una storia dall’inaspettato lieto fine, la vittoria dell’arte sull’abbandono.
Tornerà a volare la fenice emiliana, un giorno.
E non vediamo l’ora di rivederla in alto, in cima alla cultura di Ferrara.
Simone Bodini
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