Mi piace pensare di inaugurare la rubrica “Chicche di caffè” con qualcosa, che forse, conosciamo tutti, ma che abbiamo dimenticato: quando è nato il teatro. Ma soprattutto perché l’uomo ha avuto la necessità di rappresentare la realtà sul palcoscenico.
L’etimologia della parola teatro ci fa già entrare in quella che è l’anima più profonda di questa arte.
Theàomai in greco significa guardare, osservare.
Non è solo il pubblico che assiste allo spettacolo a compire questa azione, ma i protagonisti stessi sul palco: hanno analizzato, studiato, vissuto fino alle viscere, la realtà che stanno raccontando attraverso la rappresentazione scenica.
Un’azione intrisa di profonda sensibilità e accuratezza.
Non a caso le prime rappresentazioni storiche che troviamo, sono quelle legate al sacro, alla spiritualità: per raccontare ciò che non è percettibile, che non è di facile comprensione si ricorreva al teatro.
Al VI secolo a.C. si fa risalire la prima rappresentazione legata al mito del dio Dioniso a cura del poeta greco Tespi. Un letterato, dunque, che rende la cultura patrimonio di tutti, raccontandola con la voce, la gestualità e la danza. Tespi sceglie di onorare Dioniso che, guarda caso, è la divinità legata di più alla vita, agli istinti e alle passioni, alla sensualità e all’intuito. Chiamato Bacco dai Romani, celebrato da Caravaggio nelle sue celeberrime tele, rappresenta non solo la leggerezza, ma anche il senso della vita.
A lui è associata la pianta del melo e della vite, viene rappresentato come il dio del vino e dell’ebrezza.
Il culto di Dioniso, invece era in origine legato alla linfa vitale, quella che dà origine alla vita e al suo fluire.
Per questa ragione i miti dionisiaci sono connessi con la spiritualità, la percezione di sé e degli altri attraverso i cinque sensi: ai banchetti si cantava e ballava. Si celebrava l’amore e le passioni della vita e si raccontavano le follie degli uomini.
Il vino, che Dioniso aveva donato agli uomini, era la bevanda in grado di far dimenticare gli affanni, un nettare potente capace di generare la gioia e la condivisione tra le persone.
Come il teatro.
Non è un caso, dunque, che gli spettacoli organizzati dalle polis greche, che si svolgevano all’inizio della primavera, la stagione della rinascita della natura, erano durante le feste in onore del dio Dioniso.
I cittadini più noti e autorevoli, facevano a gara per finanziare gli spettacoli teatrali affinchè il popolo potesse godere di quella “bevanda magica”, quale era il teatro, capace di far dimenticare gli affanni.
Esistevano già allora autori che scrivevano opera teatrali (di mestiere, non per passatempo) e come tali si proponevano ad una commissione che sceglieva la rappresentazione migliore da portare in scena.
Un servizio alla comunità, dunque, un bene primario perché il popolo potesse star in pace: a teatro andavano tutti, in modo gratuito, per imparare, riflettere, provare emozioni e uscirne rigenerati, per quell’azione benefica che generava nell’animo umano. Addirittura ai più poveri era donato un contributo in mancanza della paga, perché non lavoravano pur di recarsi a teatro!
Le rappresentazioni teatrali duravano quattro giorni.
Nei primi tre giorni erano rappresentate solo tragedie; il quarto giorno era la volta della commedia, della satira, era il giorno della presa in giro dei potenti della città.
C’era la musica e le opere erano in versi.
Si celebrava la poesia!
Sebbene alle donne fosse vietato recitare, non era proibito assistere.
Tutti andavano a teatro.
Inoltre, visto che non esistevano i bar e i ristoranti come li conosciamo oggi, il pubblico si portava da casa le provviste da consumare durante gli spettacoli.
Un’usanza che ritroviamo ancora nell’Inghilterra del 1500 quando all’epoca di Shakespeare, gli archeologi hanno trovato resti di ostriche in platea, semi di anguria e zucca, di frutta fresca e secca. Sono state rinvenute anche alcune pipe, segno che il tabacco portato dall’America si era rapidamente diffuso in Inghilterra.
Sembra un tempo lontanissimo, eppure è stato davvero così.
Il teatro fonda le radici nella cultura che diciamo di conoscere e ci vantiamo di citare quando indichiamo i Greci e i Romani come i nostri antenati. Eppure non erano solo quelli degli Imperi, delle conquiste e delle battaglie.
Andavano a teatro, invitavano il popolo a partecipare agli spettacoli e onoravano Dioniso capace di allontanare per un po’ gli affanni della vita.
Andavano a teatro perché credevano nella potenza rigeneratrice di questa arte.
Sarah Pellizzari Rabolini
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