“Hello Dolly”, un enorme flop
“Hello, Dolly!” ha debuttato a detroit nel 1963 per spostarsi a broadway nel 1964. Musical con libretto di Michael Stewart e testi e musiche di Jerry Herman, la trama dell’opera si basa sullo spettacolo di Thornton Wilder “The Merchant of Yonkers”, successivamente rielaborato dallo stesso Wilder in “The Matchmaker”.
La storia ruota attorno a Dolly Levi, una donna vedova di mezza età che fa da “matchmaker”, ovvero si occupa di creare coppie ben assortite. Potremmo definirla una Tinder ante litteram. La donna ha il compito di trovare moglie a un “mezzo milionario”, Horace Vandergelder. La donna è però palesemente interessata a sposare lei stessa l’uomo. Una serie di situazioni surreali portano i personaggi che si intrecciano alla protagonista al lieto fine.
L’opera ottenne grande successo dal punto di vista della critica (particolarmente lodata la performance della protagonista, Carol Channing), e diversi premi. In particolar modo su 11 nomination ricevute ai Tony Awards il musical ne vinse dieci, tra cui miglior musical, miglior libretto e miglior attrice protagonista per la Channing.
L’attrice che per prima diede volto alla protagonista all’età di quarantatré anni tornò a ricoprirlo diverse volte nel corso della sua vita. Carol Channing è morta due anni fa, lasciandosi alle spalle la nomea di stella di Broadway.
Il personaggio di Dolly ha attirato una serie di grandi interpreti. Ricordiamo in particolar modo Ethel Merman, Mary Martin (la prima interprete di Maria in “The sound of music“), Bette Midler, Bernadette Peters, Donna Murphy e Betty Buckley. Una produzione con protagonista Imelda Staunton, interprete di Dolores Umbridge nella saga di “Harry Potter”, doveva andare in scena ad agosto 2020.
In Italia lo spettacolo è andato in scena dal 1999 al 2003, portato sul palcoscenico dalla Compagnia della Rancia, con direzione di Saverio Marconi. La protagonista in questa versione era la smagliante Loretta Goggi.
Dal musical è stato tratto un film nel 1969, a soli cinque anni dall’uscita dello spettacolo. Alla regia un esperto del genere, Gene Kelly. La sua carriera comprende moltissimi film da attore, coreografo e regista, e ricorderemo in particolar modo l’iconico “Cantando sotto la pioggia”. Jerry Herman partecipò alla scrittura del film, scrivendo due nuove canzoni, “Just Leave Everything to Me” e “Love is only Love”.
Nonostante il personaggio di Dolly sia specificamente pensato per essere una donna di mezza età, la parte fu affidata a Barbra Streisand.
L’anno prima la cantante aveva fatto il suo debutto al cinema con un altro musical, “Funny Girl”. Al momento dell’uscita di “Hello, Dolly!” aveva ventisette anni. Una giovane età che è decisamente percepibile e che influenza non poco la prospettiva che abbiamo sul personaggio. Ma di questo parleremo dopo.
Nella parte del protagonista maschile Walter Matthau, conosciuto per la sua carriera comica, spesso in duo con Jack Lemmon. Ritroviamo inoltre un attore che conosciamo già, ovvero Michael Crawford. La sua performance comica nel ruolo di Cornelius Hackl, accompagnata a quella in “Dolci vizi al Foro“, sono un’interessante opposizione al suo ruolo più famoso, quello del Fantasma nel “Fantasma dell’Opera“. Marianne McAndrew, interprete di Irene Molloy, l’interesse amoroso di Cornelius, è l’unica tra gli interpreti a venire doppiata nelle parti cantate.
Fa inoltre un piccolo cameo Louis Armstrong nella parte di se stesso. L’artista aveva creato un jazz album con lo stesso nome del musical.
Il film, pur avendo alla fine incassato 26 milioni di dollari, fu comunque considerato un flop, essendone costati 25. Pare che il film fu un insuccesso commerciale pari quasi all’infame “cleopatra” con elizabeth taylor, conosciuto proprio per i costi elevati di lavorazione e i bassi risultati al botteghino.
A questo insuccesso commerciale si accompagnarono critiche generalmente positive. Il film ricevette addirittura sette nomination agli Oscar, vincendone tre, tra cui “miglior colonna sonora” e “miglior sonoro”.
Solo recentemente la critica specializzata si è raffreddata nei confronti dell’opera, che non a caso è considerato il film che ha segnato la “morte” del big budget musical. Questa tipologia di film sarebbe effettivamente “resuscitata” solo nel 2001, con l’uscita di “Moulin Rouge!”.
Se siete interessati all’argomento trovate una storia dettagliata del genere in questo video di Lindsay Ellis.
Ad oggi, probabilmente, il film potrebbe essere riconosciuto dalle giovani generazioni soprattutto per l’inserimento di alcune sue clip nel classico Pixar “Wall-E”.
Ma questo film merita davvero un titolo così infamante? Possibile che una singola opera sia così poco al passo coi tempi da segnare la morte di un intero genere? Davvero questa pellicola merita tutto l’odio che si è guadagnato nel corso degli anni?
Detto in poche parole, “Hello, Dolly!” è il tipo di film che temevo di vedere quando ho iniziato a visionare “Tutti insieme appassionatamente”. Ma articoliamo un po’ il discorso, vi va?
Il film inizia abbastanza promettente, a dirla tutta. La prima scena è composta di un intero piano sequenza che inquadra diverse paia di scarpe, per poi fermarsi su quelle di Dolly. La camera segue la protagonista senza mai inquadrarne il viso, nascosto dal cappello a larga tesa, fino al momento della “rivelazione” del volto della diva. Peccato che i (rari) virtuosismi registici nel resto del film non bastino a salvare un film che, per l’epoca in cui è uscito e per gli standard odierni, sa di vecchio e stantio.
Lo stesso possiamo dire delLe coreografie di Kelly: complesse e godibili, spettacolari con le tantissime comparse che coinvongolo. ma non riescono a sopperire ad alcuni difetti che rendono il film, più che brutto, molto noioso.
La storia si trascina concentrandosi più sui numeri musicali che non sulla psicologia dei personaggi, personaggi che si limitano a “riempire” i loro stereotipi. Cornelius è l’ingenuotto di buon cuore che si trova coinvolto in una serie di intrighi, Irene è la donna sarcastica che lascia cadere la propria facciata non appena appare il proprio interesse amoroso, Ermengarde e Ambrose sono la coppia di giovani amanti innocenti… e poi ci sono i due protagonisti.
Walter Matthau nei panni di Horace dà vita a un personaggio scorbutico e misogino che dovrebbe risultare simpatetico, ma che non possiede la stessa tenerezza e complessità del Capitano Von Trapp in “Tutti insieme appassionatamente”. Diverse volte Dolly lo definisce “affascinante”, ma sentircelo dire non basta a convincerci di dover fare il tifo per lui.
E a proposito di “fare il tifo”, è implicito che il pubblico debba desiderare che alla fine Horace e Dolly finiscano insieme, ma tra i due non c’è alcuna chimica. Non solo risulta difficile capire cosa Dolly trovi in Horace, visto l’atteggiamento che l’uomo tiene con lei, ma lo stesso si può dire di Horace, che non sembra interessato alla protagonista fino agli ultimi quindici minuti di film.
Non aiuta poi la differenza d’età tra i due, che rende alcune delle scene che li vedono protagonisti abbastanza imbarazzanti. Un problema facilmente risolvibile sullo stage, in cui, come ho già detto, Dolly dovrebbe essere interpretata da una donna di mezza età.
La scelta della Streisand non solo risulta abbastanza dismissiva nei riguardi delle attrici più “anziane”, che spesso nell’ambiente teatrale vengono messe da parte per attrici più giovani (come è stato in questo caso) ma sconvolge completamente il personaggio di Dolly.
La Dolly teatrale viene descritta come “rumorosa e sfacciata”, una donna che si inserisce nelle questioni di persone a lei non legate, piena di sé. Streisand, per quanto chiacchierona e certamente autoritaria nel suo tessere trame e dirigerle a suo piacimento, risulta troppo affascinante per poter essere il personaggio insopportabile che è nell’opera originale. C’è da dire comunque che anche a teatro Dolly è stata interpretata in diverse maniere.
Difficile credere però che una donna come Barbra Streisand alla soglia dei ventisette anni sia già vedova. Non aiuta il fatto che nel musical Dolly cita sin dall’inizio il proprio marito defunto, dimostrando un affetto ancora forte che “abbandona” nel corso della vicenda, spostando le proprie attenzioni su Horace. Nel film Dolly parla del proprio consorte solo una volta, nel corso del primo atto, per cui risulta abbastanza straniante quando ne parla con tanto affetto successivamente, come se si stesse sforzando di lasciarlo andare.
Difficile capire poi, nel film, quali risultati Dolly si aspetti effettivamente di ottenere, nel suo tessere trame. Ad esempio, il suo piano per portare Horace ad accettare il matrimonio della nipote consiste nel far ballare la giovane coppia a una gara di polka e farvelo assistere. Difficile capire quale sia esattamente il risultato che volesse ottenere e altrettanto difficile capire se stesse giocando sul lungo periodo. Perché, anche in quel caso, il suo piano non sarebbe andato a buon fine se non per una serie di fortunate coincidenze. La mia impressione è dunque che nello spettacolo originale l’idea che il pubblico doveva farsi di Dolly fosse quella di una matchmaker assai incapace e che dovesse forse ridere di lei e delle sue dubbie capacità. Tutte teorie, certo, ma credo che sarebbe stata una versione molto più interessante e divertente di quella offertaci dal film.
E queste considerazioni caratteriali riguardano solamente i due protagonisti. Anche I personaggi secondari, con le loro relazioni, convincono poco.
Cornelius e Irene si dichiarano amore eterno un giorno dopo essersi conosciuti, e tre quarti di questa giornata Cornelius li ha spesi a mentirle. Un cliché tipico del genere musical, cerco, ma questo non lo rende meno problematico. Oltre al fatto che lo stesso cliché stava iniziando ad essere sdoganato nel teatro musicale.
E in generale è questo il sentimento che l’intera pellicola mi ha trasmesso: un enorme passo indietro di fronte a un panorama cinematografico che stava evolvendo e arricchendosi enormemente. L’anno prima, nel 68, Kubrick aveva diretto “2001: Odissea nello spazio”, lo stesso anno di “Hello, Dolly!” uscì “Easy Rider”. Il trend del cinema musicale, o meglio, del cinema musicale come lo si era inteso fino ad allora, non poteva sopravvivere in un ambiente così competitivo e così ricco di nuovi stimoli.
Per riassumere… Mi spiace davvero per Wall-E. Non posso immaginare di dover guardare solo questo film per settecento anni.
Silvia Strambi