La gloria e il declino dei teatri Metropolitan e Moderno di Torre Annunziata, dove le stelle solevano brillare.
Che immagine avrebbero le nostre città se tutte quante, d’improvviso e in un colpo solo, restassero senza i rispettivi teatri? Difficile a dirsi. Dopotutto, si tratta pur sempre di una visione utopica, un’eventualità che spaventa al solo pensiero ma d’impossibile realizzazione. O no?
Una cosa è certa: una città senza teatro non sarebbe tanto dissimile da un uccello relegato in gabbia. Entrambi non sarebbero che la propria prigionia, l’una muri e cemento e l’altro sbarre d’ottone. Ma soprattutto, come l’uccello non potrebbe esibirsi nell’arte del volo, la città non mostrerebbe l’arte di chi la vive.
Perché privarsi della propria arte è come cessare di vivere e un teatro strappato alla sua comunità è l’ultimo respiro di una città morente.
Restare senza teatro è quel traguardo a cui nessuna città dovrebbe mai arrivare, una condizione improbabile ma non impossibile.
Eppure, la storia che state per leggere dimostra come, a volte, le utopie possano trasformarsi in realtà. E che certe immagini, spesso, non abbiano nulla da invidiare agli incubi più fantasiosi.
Il nostro racconto ha come sfondo le acque tirreniche del Golfo di Napoli e una cittadina che risponde al nome di Torre Annunziata, orfana non di uno, bensì di due grandi teatri.
Infatti, quasi quarant’anni or sono, le porte delle sue rinomate case d’arte si sono chiuse per sempre, condannando l’intera città -un tempo faro delle arti performative per tutto il Mezzogiorno- a un futuro senza teatro.
Ad oggi, Torre Annunziata sembra non aver ancora scontato la sua pena e dei gloriosi cine-teatri Metropolitan e Moderno altro non resta se non polverosi scheletri di cemento. Sferzate dal vento del Tirreno, le due facciate si sgretolano lentamente dinanzi agli occhi di migliaia di torresi, mostrando l’agonia di due strutture ridotte a fagocitarsi da sole assieme alle memorie dei loro sipari.
Se i teatri Metropolitan e Moderno hanno brillato grazie alla luce delle stelle passate dai rispettivi palchi, oggi entrambi sono avvolti da un morbo senza cure.
Una malattia, questa, fatta di muri scrostati e di ombre decadenti su piazze brulicanti di vita. Un male facile da contrarre e spesso impossibile da eliminare, così potente da vanificare ogni istante di ciò che fu: l’indifferenza.
Ad affacciarsi per primo sul paesaggio marittimo di Torre Annunziata è il Teatro Moderno, costruito e inaugurato nell’anno 1910.
Sorto nella centralissima piazza Nicotera a poche centinaia di metri dal mare, l’edificio risulta essere il progenitore dei teatri torresi, giacché prima della sua nascita non si annoverano altre strutture dedicate all’arte del palcoscenico.
L’area che occupa è un vasto terreno ad uso logistico di proprietà della locale famiglia Gargano, d’importanza strategica poiché posto di fronte alla stazione ferroviaria e, quindi, costantemente frequentato.
La sua offerta culturale mira a coniugare il teatro al cinema, sebbene Torre Annunziata disponga già di una sala cinematografica fin dal 1908: il Politeama.
Alla base del Teatro Moderno c’è l’idea di stare al passo con la più moderna forma d’intrattenimento di massa esistente, senza però dimenticarsi dell’antica tradizione teatrale napoletana. Già dall’inaugurazione, il Teatro Moderno diventa il principale centro d’aggregazione cittadino, radunando centinaia di torresi ogni settimana e costituendo un luminoso jet set come nessun altro in tutta la provincia.
Con le sue linee ispirate alle geometrie classiche e il cemento armato a comporne le mura, il Teatro Moderno si presenta come un maestoso esempio di stile Liberty italiano.
Esternamente, la struttura consta di due piani più uno “interrato”, in realtà posto all’interno della scalinata frontale d’accesso e finalizzato all’attività commerciale. Infatti, nei vani dell’alto basamento balaustrato elegantemente rifinito con del sobrio bugnato liscio, non era insolito trovare negozi e botteghe d’ogni genere.
Per quanto concerne la facciata, invece, la scansione segue una ripartizione tra appendici laterali appena abbozzate e corpo centrale dominante. Quest’ultimo consta di tre ingressi al pianterreno e quattro finestroni al piano superiore, sormontati da un frontone cementizio retto da due paraste sporgenti in corrispondenza del portone centrale.
Sul frontone campeggia l’insegna Teatro Moderno, destinata tuttavia a cambiare a causa dei vari passaggi di proprietà che ne muteranno l’intitolazione, sino a giungere all’ultima versione recante il solo nome Moderno.
Internamente, la capienza del Teatro Moderno sfiora le mille unità di posti a sedere, suddivisi tra una sala principale a due livelli ed una secondaria nel seminterrato.
La differenza tra quest’ultima e la precedente sta nella disposizione delle sedute: infatti, se la prima annovera una platea ed una galleria, la seconda segue uno schema a teatro greco. Ambedue, però, sono provviste di maxischermo per le proiezioni col cinematografo e di un palcoscenico -pur ridotto nelle dimensioni- per gli spettacoli tradizionali.
Sono ad oggi ancora ignote le identità dei progettisti del Teatro Moderno, così come i nomi delle maestranze o dei committenti che ne hanno dato i natali.
Allo stesso tempo, non è dato sapere chi abbia tracciato la linea stilistica della struttura, la quale risulta spartana e quasi minimalista negli spazi interni mentre abbonda di dettagli all’esterno. Degne di nota sono le scale d’emergenza poste sui lati longitudinali, realizzate in muratura e conformi alle norme antincendio dell’epoca, che ancora non concepivano l’acciaio quale materiale tagliafuoco.
Inoltre, è da segnalare la presenza di un timpano triangolare senza decori sopra il frontone, immortalato nelle foto sino al primo dopoguerra quando, presumibilmente, viene rimosso.
L’egemonia del Teatro Moderno è pressoché incontrastata nell’ambiente culturale torrese, almeno fino al secondo dopoguerra.
Infatti, col rapido progresso tecnologico del cinema e il ritrovato bisogno d’arte dopo anni di proiettili e sangue, diventa necessario accrescere gli spazi di pubblico spettacolo. Oppure, come succederà di lì a poco, fondarne di nuovi per soddisfare le richieste di un pubblico sempre più esigente e sempre maggiore.
A distanza di oltre tre decenni dalla fondazione del Teatro Moderno, sul finire degli anni Quaranta sorge a Torre Annunziata il Teatro Metropolitan.
La sua ubicazione è altrettanto strategica: piazzale Matteotti, infatti, altro non è che un allargamento di corso Vittorio Emanuele III, la principale arteria stradale della città. Anticamente, su tale area si ergeva il molino Corsea, centro nevralgico della produzione alimentare torrese distrutto nel 1943 dai tedeschi in ritirata.
Proprio sui suoi ruderi, a partire dal 1947, l’imprenditore Alberto Racconto progetta il futuro Teatro Metropolitan, con l’intento di donare al suo luogo natio un nuovo tempio dell’arte che s’accompagnasse al già prospero Teatro Moderno di piazza Nicotera.
Avvalendosi della collaborazione dell’ingegner Pastena e beneficiando del supporto del commendator Ricciardi -entrambe eminenze torresi- il dottor Racconto crea un vero e proprio monumento in stile razionalista.
Le dimensioni e l’avanguardismo del Teatro Metropolitan rispecchiano a pieno l’ingente quantità di denaro investito, pari a circa 120milioni delle vecchie Lire. Considerando la grave recessione economica in cui versava la neonata Repubblica Italiana nel secondo dopoguerra, si trattava di una cifra impossibile anche solo da immaginare.
L’estetica del Teatro Metropolitan si smarca completamente da quella del Teatro Moderno, aderendo a uno schema architettonico che ancora risente dei dettami fascisti.
Guardando alla facciata esterna, infatti, si notano linee più squadrate e spigolose, unite a guizzi ingegneristici come la grande terrazza in corrispondenza del foyer, racchiusa in un alto colonnato dalle geometrie essenziali e bidimensionali.
L’intero edificio, inoltre, non si sviluppa seguendo un andamento verticale (come il Teatro Moderno) bensì orizzontalmente, mantenendo la disposizione degli ambienti interni su un solo piano e sfruttandone al massimo gli spazi per creare verticalità.
L’accesso al pubblico è consentito da una piccola scalinata che conduce a due ingressi sormontati da una tettoia, la cui lunghezza prosegue per tutto il perimetro dell’edificio.
Quest’ultima funge anche da copertura per i manifesti degli spettacoli in cartellone e per i film in programma, giacché la struttura nasce da subito con la doppia funzione di cine-teatro. L’ingresso riservato ad artisti e tecnici, invece, è garantito da tre doppie porte all’estremità destra della facciata, anch’esse protette dalla tettoia.
Come da prassi per qualsiasi manufatto aderente al Razionalismo, il calcestruzzo armato è il materiale da costruzione preponderante; risultano assenti i bugnati tipici dei teatri Liberty e qualsivoglia schematismo rimandante all’architettura classica.
La spazialità interna è il fiore all’occhiello del Teatro Metropolitan, con una capienza totale pari a 2200 posti a sedere distribuiti in un’unica grande sala su tre livelli.
Quest’ultima sostituisce la funzionalità a qualsiasi tipo di decoro figurativo, com’era invece usuale nei classici teatri all’italiana: dinanzi a una vasta platea con corridoio centrale e buca d’orchestra per gli spettacoli di concertistica, s’innalza una galleria a doppia sezione con sedute disposte a teatro greco.
Rispetto all’omologo del Teatro Moderno, inoltre, il palcoscenico del Metropolitan -le cui scale d’accesso delimitano il perimetro della buca d’orchestra- vince in ampiezza coi suoi 130metri quadri.
Tanto il palcoscenico quanto la posizione dei camerini degli attori e i servizi accessori (cafè chantant interno, salone per mostre) non subiranno mai modifiche nel corso dei decenni; discorso diverso per la capienza totale, che si abbasserà a 1800 unità per ottemperare alle nuove norme antincendio.
Tra gli anni Sessanta e Settanta il prestigio del Teatro Metropolitan cresce al punto tale da divenire una meta di prim’ordine dello showbiz italiano, grazie a nomi illustri che ne calcano le scene.
È infatti scritta in calce la presenza di artisti del calibro di Totò, Nino Taranto, Domenico Modugno; di attrici e dive mondiali quali Gina Lollobrigida e Sophia Loren; di autentici signori della televisione come l’eterno Mike Bongiorno o di maestri teatranti come Dario Fo.
Inoltre, in data 15 marzo1960, proprio al cine-teatro Metropolitan si organizza la prima italiana del film Jovanka e le altre diretto da Martin Ritt e prodotto dal torrese Dino de Laurentiis, esportato in tutto il mondo dalla Paramount Pictures.
Dalla metà degli anni Ottanta, la straordinaria popolarità di cui godevano i cine-teatri Metropolitan e Moderno subisce una brusca frenata.
Con la progressiva diminuzione dell’afflusso di pubblico e le continue spese da sostenere per adeguare gli edifici ai nuovi standard di sicurezza, amministrare due teatri di tale levatura diventa un’impresa titanica. Sia il Moderno sia il Metropolitan, infatti, sono attività di tipo privato che vivono della risposta positiva dei propri clienti e quando questa viene a mancare, l’offerta d’intrattenimento deve ridursi per evitare la bancarotta.
Inoltre, negli anni Ottanta la stessa Torre Annunziata conosce un periodo di forte crisi finanziaria, che porta le zone più in del centro storico a svuotarsi e degradarsi. L’avvento del sistema VHS per registrare e guardare film a casa, poi, rappresenta il colpo di grazia, giacché la gente preferisce investire in un comodo videoregistratore piuttosto che abbonarsi al cinema.
Senza più una gestione efficace e scemata la gloria dei decenni passati, la corsa al successo dei teatri torresi giunge al capolinea: prima è il turno del Moderno, poco dopo tocca al Metropolitan.
Già dai primi anni Novanta, entrambi i cine-teatri risultano chiusi in via definitiva, senza la prospettiva di tornare operativi con le stesse funzioni di nascita. Solo con il Metropolitan si tenta la riapertura sotto forma di centro commerciale, ma l’affare sfuma e gli eredi del suo fondatore Alberto Racconto rinunciano ad ogni altro progetto.
Oggi i teatri Metropolitan e Moderno di Torre Annunziata portano le cicatrici di quattro decenni d’abbandono, che ne hanno sfigurato l’aspetto in modo permanente.
Del Teatro Moderno non restano che lugubri rovine: la muffa divora ogni angolo delle antiche sale-cinema e l’erosione delle mura perimetrali ha reso inaccessibili buona parte dei locali attigui, come i servizi e l’area camerini. All’esterno è scomparsa ogni traccia della storica eleganza Liberty: niente più attività commerciali sotto la scalinata monumentale; persino l’insegna col nome Moderno ha ceduto al tempo, staccandosi dal frontone ormai scrostato.
Nel 2014 il Teatro Moderno compare inspiegabilmente sul sito di e-commerce Subito.it con un annuncio di vendita, destando polemiche e grande scalpore.
Tante le proteste tra i cittadini torresi, indignati nel vedere un pezzo della propria storia ridotto a banale merce di scambio per una cifra del tutto inadeguata, specie se comparata al contributo dato dal cine-teatro alla cultura locale. Eppure, il lento crollo del Teatro Moderno non s’è mai arrestato e il suo guscio vuoto continua a sfaldarsi sul selciato di piazza Nicotera.
La sorte del Teatro Metropolitan segue il medesimo decorso, col suo scheletro di cemento ironicamente transennato per arginarne la caduta.
Della maestosa sala a tre livelli non rimane che un antro buio e maleodorante, avvolto dalla muffa e disseminato di calcinacci come il resto degli ambienti interni. Come a perenne testimonianza dei saccheggi subiti nel corso degli anni, giace un pianoforte distrutto dai vandali, mentre in cabina di regia le vecchie cineprese mangiate dalla ruggine vegliano ancora sul palcoscenico vuoto.
Gli ingressi murati e i rimasugli di manifesti elettorali sulla facciata, tra un rifiuto edilizio e l’altro, sono quasi un simbolo dell’indifferenza sofferta dal Metropolitan da quarant’anni ad oggi.
Laddove i privati, da soli, non potevano arrivare, il settore pubblico avrebbe potuto ribaltarne il destino all’apparenza già scritto. Tuttavia, a dispetto dei proclami politici, il Teatro Metropolitan scompare ogni giorno pezzo dopo pezzo. E l’indignazione di migliaia di torresi va quasi a cozzare con l’indifferenza dei passanti che vi transitano a fianco senza neppure fermarsi a pensare.
I cine-teatri Metropolitan e Moderno di Torre Annunziata, dove le stelle solevano brillare, oggi sono solo due spettri condannati all’oblio.
Non v’è nemmeno certezza di poterli guardare ancora come emblemi di una città senza teatro, poiché su entrambi pende l’incognita della demolizione. Dal Teatro Moderno nascerebbe un parcheggio multipiano per autovetture mentre il Teatro Metropolitan resta in balia degli eventi, dopo la vendita a nuova società nel 2015 per 250mila euro e la conseguente condanna per peculato della proprietaria.
Ai giornali che lo intervistavano, Totò dichiarava:
Se hai successo ai teatri di Torre, allora il pubblico ti accoglierà bene in ogni altro teatro italiano
Strano a dirsi, vista l’amara conclusione della loro storia.
Se non possono più rinascere, i cine-teatri Metropolitan e Moderno di Torre Annunziata insegnano ai teatri italiani ancora attivi quale sia il punto di non ritorno.
Ma soprattutto, entrambi sono un monito ai teatranti d’oggi e di domani: perché alla fine, per quanto brillino, anche le stelle possono spegnersi.
Simone Bodini
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