Il Teatro Comunale di San Felice sul Panaro, ecco la sua storia
All’apparenza il Teatro Comunale di San Felice sul Panaro è un edificio come tanti altri, anonimo in quel grigiore urbano che parla di un’epoca ormai lontana nel tempo.
Sobrio, elegante, quasi imponente nella sua interezza, ma non abbastanza da ritagliarsi uno spazio solo per sé.
Condivide la suggestiva cornice di via Giuseppe Mazzini, importante arteria stradale che taglia a metà il comune modenese di San Felice sul Panaro, dove all’intersezione con viale Campi svettano anche le torri dell’antica rocca estense e le geometrie classiche del monumento ai caduti per la Patria.
È un simbolo tra i simboli, il vecchio Teatro Comunale.
Le sue scene hanno arricchito l’ambiente culturale della provincia di Modena per più di un secolo, ospitando seguitissime stagioni di prosa e concertistica alternate da rappresentazioni d’opera e di lirica internazionale.
Gioiello dell’architettura Liberty, il Teatro Comunale di San Felice sul Panaro ha vissuto decenni di modifiche e rifacimenti strutturali, attraversando indenne gli sconvolgimenti del Novecento emiliano. Ha superato senza trauma alcuno, i cambiamenti degli anni Duemila, operando a pieno regime sino ai tempi più recenti.
La mattina del 29 maggio 2012, però, il suo sipario si è chiuso improvvisamente.
Lo sciame sismico che sconvolse l’Emilia danneggiò pesantemente le mura perimetrali, provocando crolli nella parte posteriore e rendendolo inagibile al pubblico.
Da allora, nonostante le opere di ricostruzione circostanti, il Teatro Comunale di San Felice sul Panaro versa in stato di abbandono.
Solo pochi urbexer, ad oggi, sono riusciti ad addentrarsi nei suoi interni. E i loro scatti, seppur avvolti dalla luce polverosa tipica degli edifici decaduti, mostrano tutta l’eleganza spartana di questo tempio dell’arte sconsacrato con la forza.
Non si sa se gli artisti torneranno mai a calcare il suo palcoscenico.
Ad oggi, il futuro del Teatro Comunale di San Felice sul Panaro è appeso a un filo, sottile come le sue crepe. Crepe profonde, che tengono assieme i pezzi di una storia tutta italiana.
La tradizione vuole che a San Felice sul Panaro l’arte teatrale fosse presente fin dal Seicento e che rientri, di conseguenza, negli usi e costumi della popolazione locale. Gli spettacoli sanfeliciani avrebbero un’origine prettamente “proletaria”. Ciò sarebbe confermato da un atto comunale datato 1633, in cui si ordinava il pagamento degli operai di tale Giacomo Malavasi, di professione massaro, per aver portato in scena la grande recita del carnevale di quell’anno.
Gli attori del territorio partivano da uno stato non-professionistico e coltivavano la loro carriera in una saletta posta nella “Casa della Comunità”, dove avevano la possibilità di provare liberamente. Situata sotto la l’arco d’ingresso della rocca estense, la suddetta Casa subì numerose ristrutturazioni.
Nella prima metà del Settecento divenne a tutti gli effetti il primo teatro di San Felice sul Panaro.
Stando alle cronache, i suoi spazi contavano soltanto platea e qualche palchetto. Inoltre, sebbene il suo progetto risalisse al 1732, i lavori non cominciarono prima del 1755 e giunsero al termine soltanto nel 1759. La ragione sarebbe da imputare alle guerre di successione polacca e austriaca, che interessarono il modenese per una decina d’anni e culminarono con gli assedi del vicinissimo comune di Mirandola. Ad ogni modo, il teatro riuscì ad entrare in funzione e continuò ad operare fino al 1891, quando fu presumibilmente chiuso.
Nel 1903 le sue condizioni di degrado costrinsero l’amministrazione a demolirlo e a concepire un teatro di nuova generazione, che non tardò affatto ad arrivare.
Nel 1905 il comune di San Felice sul Panaro espropriò un terreno privato in quella che sarebbe diventata la piazzetta di via Mazzini. Poi ne individuò la posizione ideale per costruire il nuovo teatro. Incaricati del progetto furono l’ingegnere modenese Ubaldo Setti e l’architetto Arturo Prati, all’epoca docente presso l’istituto di Belle Arti di Modena.
Maestro indiscusso del Liberty italiano, Prati concepì una sala unica nel suo genere. uni’ i rivoluzionari dettami architettonici francesi allo stile nostrano per realizzare un teatro del tutto innovativo.
I lavori durarono all’incirca due anni, finché nel 1907 la struttura fu dichiarata ultimata e pronta per accogliere il grande pubblico.
Con una serata inaugurale ricca d’eleganza e mondanità, il neonato Teatro Comunale di San Felice sul Panaro aprì le sue porte. Ospitò sul suo palcoscenico il cast dell’opéra-comique francese “Mignon” scritta da Ambroise Thomas.
Nonostante il successo della prima rappresentazione, per cui si registrò un tutto esaurito, l’impatto iniziale del teatro sul pubblico non fu altrettanto positivo.
La struttura, infatti, si distaccava completamente dalle tradizionali architetture teatrali italiane, introducendo nuovi elementi a cui la borghesia contadina sanfeliciana guardava con diffidenza.
Uno di questi è la cavea di forma ellittica, rarissima nel teatro all’italiana e più tipica degli anfiteatri d’epoca classica, che Prati fece costruire per ospitarvi la platea e gli ordini di palchi superiori. Anche questi ultimi, però, non ricalcavano affatto la disposizione tradizionale. Se ne contava, infatti, un solo ordine al primo livello, scandito da semplici colonnine in ghisa con archetti a sesto ellittico, mentre al piano superiore ve n’erano soltanto tre racchiusi in una sorta di loggia decorata con motivi Liberty. A fiancheggiarla, su entrambi i lati, non c’erano posti a sedere, ma delle gradinate con ringhiere di ferro. Al terzo ed ultimo livello, la composizione di Prati si chiudeva con un loggione di proporzioni contenute. Dall’esterno, la gente poteva accedere dai tre ingressi sulla facciata principale, dietro i quali si trovava l’atrio con la biglietteria e le scale d’accesso ai piani.
L’ingresso alla platea era ornato da un elegante balconcino Liberty, nient’altro che la foggia esterna della loggetta che racchiudeva i tre palchi al secondo livello del teatro.
La sala dell’architetto Prati ebbe una vita piuttosto travagliata, restando invariata per soli quindici anni. Nel 1923, infatti, la borghesia agraria diventò così pressante da costringere l’amministrazione di San Felice sul Panaro a ristrutturare completamente il Teatro Comunale. Il progetto fu affidato all’architetto Emilio Giorgi. Già noto per aver realizzato il Teatro Sociale di Finale Emilia, peraltro di concezione simile a quella di Prati, Giorgi riportò la struttura ad un assetto più tradizionale. Trasformò il primo livello in un ordine di galleria, apponendo due ordini di palchi superiori che culminavano con un loggione ampliato al terzo livello. Eliminò la loggia interna, conservandone però il balconcino esterno all’ingresso, modificando anche l’atrio e le rampe d’accesso ai piani. Giorgi decise di mantenere lo stile Liberty dell’edificio, lasciando inalterato l’elemento più caratteristico del teatro: la grandiosa volta con decorazioni floreali, realizzata da Prati assieme all’elegante lampadario centrale.
L’assetto di Emilio Giorgi, accolto con grande favore dalla popolazione, avrebbe definito le sembianze del Teatro Comunale sino ai giorni nostri.
Alla fine del turbolento periodo dei restauri, il Teatro Comunale di San Felice sul Panaro contava all’incirca 700 posti con 22 palchi, dislocati in una pianta che manteneva la sua forma ellittica e veniva aggiornata, nelle sue decorazioni, con opere in stile art-déco.
Profondo e spazioso, il suo palcoscenico era dotato di un grande retropalco utile alle compagnie teatrali.
Qui vi potevano apporre oggetti di scena e scenografie, mentre il pubblico, tra un intervallo e l’altro, poteva sfruttare un modesto foyer al primo piano per ritrovarsi e conversare.
La vita del Teatro Comunale proseguì florida e ricca di spettacoli in cartellone, sopravvivendo all’incubo del secondo conflitto mondiale e riaccendendo la vita culturale in un’Emilia del dopoguerra devastata da fame e povertà.
Negli anni del boom economico subì un nuovo intervento di modifica, che lo rese un cinema per tutto il decennio 1950-1960. Dopodiché, in seguito a un breve periodo di chiusura, tra il 1984 e il 1985 l’amministrazione locale avviò i lavori di restauro del palazzo al fine di ricostituire la funzione originaria di teatro.
Coadiuvato dal professor Leonardo Lugli dell’Università di Bologna, l’ingegnere comunale Stefano Castellazzi si prese carico della ristrutturazione.
Dopo dieci anni, nel 1994, le porte del Teatro Comunale di San Felice sul Panaro riaprirono al pubblico.
All’avvento degli anni duemila, il vecchio Teatro Comunale era ancora in piena attività.
Le stagioni di lirica e di prosa si alternavano in continuazione e il pubblico visitava costantemente i suoi spazi, anche per assistere a conferenze o serate di concertistica contemporanea. Tuttavia, nella torrida estate del 2012, le cose cambiarono per sempre.
Un violento terremoto di magnitudo 6.1 scala Richter colpì duramente l’Emilia-Romagna, provocando morte e distruzione in quasi tutti i comuni delle province di Modena, Ferrara e Reggio.
Le scosse furono avvertite anche in alcune zone della Lombardia e del Veneto, se non addirittura nelle marche di confine di Austria, Croazia e Slovenia. Provocarono in totale 27 vittime, danneggiando irreparabilmente l’intero patrimonio artistico e culturale dell’area. La furia del sisma sventrò senza pietà tutti gli edifici storici e religiosi di San Felice sul Panaro, compreso il Teatro Comunale, che condivise l’infelice sorte con l’attigua rocca estense, ridotta oggi a un rudere.
Nella parte posteriore del Teatro Comunale, una serie di crolli provocò il distacco di intere porzioni di muro, coinvolgendo la zona del retropalco e rendendo inagibili i corridoi d’accesso ai palchi. Sui muri portanti si formarono grosse crepe che interessarono anche la volta Liberty di Arturo Prati, mentre calcinacci e pezzi d’intonaco precipitarono sul palcoscenico e sul fondo della platea.
Le ispezioni effettuate all’interno dell’edificio, basandosi anche su perizie esterne, hanno dichiarato il Teatro Comunale potenzialmente pericoloso e da allora le autorità ne hanno disposto ufficialmente la chiusura.
Ad oggi, nulla è cambiato dalla tremenda estate di otto anni fa. Non si prospetta futuro per il Teatro Comunale di San Felice sul Panaro e il suo stato di abbandono peggiora giorno dopo giorno. Una piccola speranza di rinascita è sorta nel 2015. Un’azienda privata ha presentato un progetto di restauro in grado di ammodernare le dotazioni di sicurezza del teatro e di renderlo di nuovo operativo. Ciò richiede tempo e, soprattutto, un’ingente quantità di fondi che il mondo culturale italiano non è in grado di dare. O almeno, non subito. Per adesso, il Teatro Comunale di San Felice sul Panaro resta un maestoso contenitore vuoto. In attesa che qualcuno scriva un nuovo capitolo della sua storia.
Nel 2019, un collettivo milanese di esploratori urbani è riuscito ad addentrarsi nel Teatro Comunale, riportando a galla la sua vicenda ormai dimenticata da quasi tutti gli organi istituzionali preposti.
Ad oggi, la loro testimonianza videografica è una delle poche che documentano con esattezza l’entità dei danni subìti dalla struttura. Quanto vissuto dal Teatro Comunale di San Felice sul Panaro è del tutto simile alla storia di tanti altri teatri e luoghi di cultura sparsi per l’Italia. Molti, colpiti da cataclismi naturali o artificiali sono ridotti all’abbandono per vincoli burocratici o mancanza di risorse. Templi dell’arte che potrebbero dare ancora tanto alla cittadinanza ma senza l’opportunità di dimostrarlo concretamente.
Nel caos dei tempi che corrono, sdegnando chi sta indietro, il Teatro Comunale di San Felice sul Panaro osserva. Osserva dalle trifore chiuse un Paese che l’ha amato e dimenticato. Ma soprattutto, racconta il romanzo di uno spettacolo Liberty stroncato due volte, dal rifiuto degli uomini e della mano della Terra.
Simone Bodini
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