La storia del Politeama Verdi di Carrara, meta dell’arte di Puccini e Totò oggi sommersa dal cemento abusivo.
Cos’è che rende prigioniero un uomo?
Una domanda semplice, quest’ultima, dalla risposta all’apparenza scontata. Eppure, come insegna l’esperienza, sono proprio le domande più scontate a nascondere i tranelli più insidiosi.
Qualcuno risolverebbe il grattacapo appellandosi al senso comune e direbbe: i vizi, il denaro, le ideologie. Qualcun altro, invece, si affiderebbe all’inconfutabile enciclopedia Treccani e parlerebbe di luoghi fisici, talmente angusti da impedire la libertà d’azione. Ebbene, non esiste un’opzione più giusta dell’altra.
Perché in fondo, si è prigionieri ogni volta che qualcosa prende il sopravvento su di noi, degradando la coscienza a mera dipendenza.
È un discorso, questo, che non si limita alla singola sfera umana ma si espande fino al dominio delle cose. Anche un oggetto inanimato, infatti, può diventare prigioniero: di sé stesso, dei suoi danni, di azioni scellerate.
Oppure, come nella più classica delle cronache italiane, può finire imprigionato nella droga più ambita tra i costruttori: il cemento. A darcene la prova è una struttura dalle dimensioni mastodontiche, sorta nel cuore delle Alpi Apuane, ancora oggi vittima di cementificazioni e nefandezze umane.
Scelto da Giacomo Puccini per rappresentarvi le sue opere e dal grande Totò per portarci la commedia, il Politeama Verdi di Carrara è oggi prigioniero del progresso più becero.
Abbandonato dal 2008 ma oggetto di abusi edilizi già dagli anni Settanta, questo tempio dell’arte sconsacrato ha visto la logica del denaro prevalere sulla cultura e non ha potuto fare altro se non chiudere i suoi battenti.
La sua storia, però, parla di ingegno e passione sfrenata. Parla di un azzardo dai buoni frutti e del passato dei nostri padri. E prima che l’oblio avvolga di nuovo le spoglie del Politeama carrarese, vale la pena scoprirla.
La città di Carrara vanta un legame plurisecolare con le forme d’arte.
Infatti, fin dall’antichità, nelle montagne circostanti l’abitato venivano aperte cave per l’estrazione del celeberrimo marmo bianco.
Le cave producevano una materia prima molto pregiata, che riforniva gli scultori e i mecenati di tutta Europa. Persino i suoi pezzi di scarto godevano di grande ambizione, tanto da indurre Michelangelo a sceglierne uno per realizzare la famosissima statua del David.
La tradizione teatrale carrarese, invece, trova nelle cronache un’origine molto più recente. La data comunemente accreditata è il 1769, anno in cui i Malaspina, al tempo principi di Carrara, finanziano la costruzione dell’Accademia delle Belle Arti.
Attiva ancora oggi, l’Accademia vantava rettori di spicco e formava a tutti i mestieri indispensabili alla carriera teatrale, come la coreutica o la scenografia.
La diffusione della lirica e la conseguente fondazione di nuovi teatri nelle principali città italiane porta le autorità carraresi a costruire uno spazio culturale proprio.
Così, nel 1836 si apre un cantiere nella località For’d Porta (attuale piazza Battisti) e dopo quattro anni di lavori, nel 1840 viene inaugurato il Teatro degli Animosi. La struttura, di impronta classica, risulta essere il primo teatro stabile di Carrara ed è tutt’oggi operativa.
Realizzato dall’architetto lucchese Giuseppe Pardini, il Teatro degli Animosi era uno splendido esempio di Neoclassicismo architettonico.
Contava 440 posti totali in una tradizionale sala a ferro di cavallo, scandita da platea, tre ordini di palchi e loggione. Eppure, nonostante l’eleganza dei suoi stucchi e la vistosità delle sue decorazioni, l’Animosi non poteva competere coi grandi teatri italiani dell’epoca.
La struttura, infatti, aveva dimensioni piuttosto modeste e ciò rappresentava un problema per la ricca borghesia locale.
La svolta sembra arrivare il 14 luglio 1888, quando il notaio Pietro Eutichiano Attuoni registra l’atto di concessione di un terreno già occupato dal vecchio cimitero di Carrara.
Finalità del provvedimento: la costruzione di un nuovo politeama.
Tuttavia, l’area edificabile misurava un totale di 3518 m2 e la sua vastità avrebbe comportato costi di realizzazione troppo onerosi per il Comune.
Pertanto, col benestare di tutta l’amministrazione, il sindaco di Carrara Augusto Marchetti decide di accogliere la richiesta di due costruttori piemontesi e sigla con loro un accordo d’utilizzo.
Stando al documento, i due ingegneri torinesi Alberto Scarsella e Pietro Ferrero avrebbero condiviso la proprietà del futuro edificio, beneficiando pienamente dei guadagni dell’attività.
Inoltre, ai due costruttori sarebbe spettato un compenso di 13.000 lire dal Comune di Carrara per sostenere le spese di decorazione. L’impresa di Scarsella e Ferrero, infine, sarebbe stata esente dal pagamento della tassa sui materiali.
L’amministrazione comunale e i costruttori sono concordi nell’affidare la direzione dei lavori all’architetto Leandro Caselli, piemontese di nascita ma carrarese d’adozione.
Caselli operava nella città del marmo da ormai diverse decadi e aveva contribuito alla nascita di importanti opere come la caserma Dogali e le scuole Saffi.
Nel 1888 redige il progetto del futuro politeama di Carrara e il 12 luglio dello stesso anno, soltanto due giorni prima della concessione definitiva del terreno, l’architetto Caselli può cominciare a dirigere il cantiere.
Per fare posto al nuovo politeama, il Comune di Carrara ordina la demolizione del vecchio cimitero cittadino.
Al suo posto fa realizzare piazza Farini, che assieme alle laterali vie Mazzini, Roma e Cavour va a formare il quadrilatero al centro del quale sorgerà il futuro teatro.
La giunta del sindaco Marchetti teneva particolarmente alla costruzione del politeama. Secondo l’accordo, infatti, il Comune avrebbe goduto del diritto d’utilizzo sul palcoscenico e avrebbe potuto occupare l’intera struttura qualora lo reputasse necessario.
Inoltre, c’era un motivo puramente identitario a far sì che l’amministrazione appoggiasse il progetto di Leandro Caselli.
La popolazione carrarese nutriva da sempre una forte passione per la lirica e l’architetto ne aveva tratto ispirazione, disegnando una sala che si adattasse perfettamente ai numeri e alle esigenze del genere melodrammatico.
Caselli dispone le mura perimetrali del politeama su 2700 dei 3518 m2 concessi e introduce in cantiere materiali del tutto innovativi, a cominciare dal ferro.
Nell’edilizia teatrale, infatti, l’intelaiatura degli edifici era costruita perlopiù in legno e l’utilizzo del ferro quale materiale di sostegno era abbastanza raro.
Con un ritmo costante e regolare, la squadra di Leandro Caselli porta avanti i lavori per quattro lunghi anni, plasmando inconsapevolmente un vero colosso senza eguali.
Nel 1892 il nuovo politeama carrarese può dirsi finalmente pronto.
Le sue porte aprono al grande pubblico con una cerimonia inaugurale alla presenza delle principali autorità, sia locali sia regionali. Durante la serata, la struttura viene intitolata a Giuseppe Verdi e il palcoscenico ne continua l’omaggio con la rappresentazione del Rigoletto.
Lo spettacolo registra un successo strepitoso e inaspettato, anche grazie a un parterre internazionale di interpreti come il tenore spagnolo Enriquez Bertran e il baritono italiano Massimo Scaramella.
A grande richiesta, l’opera viene replicata per qualche altra sera e sembra preannunciare un futuro da tutto-esaurito.
La realtà dei fatti, però, smentisce tutte le speranze. Dal 1892 al 1904 vengono rappresentante soltanto 29 opere, tra cui spiccano titoli come Il Barbiere di Siviglia di Rossini, Mefistofele di Boito, Cavalleria Rusticana di Mascagni e Pagliacci di Leoncavallo.
Nel 1905 le rassegne si fermano del tutto, per poi riprendere l’anno successivo con nuove rappresentazioni di opere verdiane come Carmen, Ernani e Aida.
Nonostante il grande clamore suscitato dall’inaugurazione, la nomea del Politeama Verdi di Carrara non sembra spiccare il volo sperato. Eppure, sebbene l’organizzazione interna non manchi di evidenziare le sue lacune, il prestigio del palcoscenico carrarese guadagna sempre più consensi.
Tale fenomeno è dovuto al celebre compositore Giacomo Puccini, che aveva scelto proprio il Politeama Verdi per dirigere di persona la sua opera Tosca.
La sua esibizione nel 1901 registra una partecipazione mai vista prima di allora e attira cronisti e spettatori da tutta Italia.
Puccini amava molto l’acustica del politeama carrarese e ne apprezzava in modo particolare la grandiosa spazialità, non sempre usuale nei teatri italiani del periodo.
La permanenza di Puccini a Carrara aveva dato un lustro inimmaginabile al Politeama Verdi, tanto da indurre le compagnie teatrali d’opera lirica a scegliere i suoi spazi per far debuttare i propri artisti.
C’era un detto: “Da Carrara ti si apre La Scala”.
Un gergo, questo, che sottintendeva le enormi potenzialità del politeama carrarese. Un banco di prova indispensabile, soprattutto per le compagnie che volevano accedere al Teatro Regio di Parma.
La struttura del Politeama Verdi di Carrara fondeva la maestria dell’arte classica all’innovazione delle tecniche moderne.
Partendo dall’esterno, il teatro si presentava con un’imponente facciata a nove luci. Una serie di cornici marcapiano delineavano i profili delle tre zone superiori e una coppia di archi a tutto sesto coronava le cime delle due ali laterali.
Al centro della facciata sporgeva un robusto corpo di fabbrica, su cui si stagliavano tre finestroni in vetro lucido. Questi erano sormontati da tre lunette vitree al piano superiore ed erano scandite da due paraste d’ispirazione classica.
A reggere il peso del corpo centrale ci pensava una sequenza di nove pilastri marmorei, i quali formavano un ampio portico riservato all’accoglienza del pubblico.
Dal centro del portico si aprivano i quattro ingressi del teatro, anticipati da tre colonne classiche con capitello corinzio che rompevano la fila regolare dei pilastri.
Su tutto il corpo centrale campeggiavano motivo ornamentali classici, come i timpani sulle finestre, la sequela di paraste in zona attico, i rilievi inneggianti all’arte teatrale e il fregio ad archetti pensili tra l’ultima cornice e le due creste superiori.
Sul grande selciato di piazza Farini, però, il Politeama Verdi non era l’unico protagonista.
Infatti, ai lati della sua facciata si profilavano in lunghezza due edifici identici, di ugual fattura decorativa ma dotati di ingressi indipendenti. Tali strutture erano adibite ad alloggi privati e condividevano col Politeama Verdi soltanto il vestibolo interno.
Facendo riferimento al progetto originale di Caselli, in realtà, non v’è traccia alcuna di appartamenti a ridosso del teatro.
Infatti, in un’inchiesta degli anni Cinquanta, si scoprirà che i 41 alloggi laterali erano frutto di costruzione abusiva.
Agli angoli esterni del Politeama Verdi, quattro torri di scale garantivano l’afflusso a tutti i piani dell’edificio.
Lungo le mura perimetrali, invece, correvano ben 8 uscite di sicurezza, che convogliavano il pubblico in tutto il quadrilatero esterno di piazza Farini e in un cortile sul retro del palco.
Gli interni del Politeama Verdi di Carrara erano un misto di grande eleganza e innata ariosità.
Dopo aver varcato i tre portoni d’ingresso, gli avventori si ritrovavano in un profondo atrio di matrice classica. Tutto il vano era percorso da un doppio ordine di pilastrate marmoree, inoltre, possedeva un corpo di fabbrica adibito a biglietteria.
Dall’atrio si accedeva direttamente in platea tramite un corridoio d’intermezzo, mentre usando le torri di scale si potevano raggiungere i piani superiori.
La sala del Politeama Verdi aveva dimensioni a dir poco titaniche.
Coi sui 1500 posti totali, suddivisi tra platea, doppio ordine di palchi e loggione, surclassava in pieno il preesistente Teatro degli Animosi.
Ogni ordine contava 12 palchetti ed era ornato con sinuose balaustre ricurve intarsiate di motivi classicheggianti. Dalla parete del loggione si innalzava un maestoso murale ad affresco, che proseguiva il suo disegno lungo tutto il soffitto e dava colore alle mura perimetrali.
Dalla bocca di scena pendeva un bellissimo sipario dell’artista Bosio raffigurante il paesaggio carrarese, al di sotto del quale prendeva forma la spaziosissima cavea. Quest’ultima era stata progettata specificamente per la lirica ed era in grado di ospitare formazioni musicali fino a 70 elementi.
Lo stesso palcoscenico aveva una spazialità davvero ragguardevole: la presenza di volte in mattoni in zona retropalco lo rendeva profondo e molto agevole tanto per i macchinisti quanto per gli attori.
La struttura del palcoscenico era costituita da tante botole messe insieme, che davano accesso a un ampio sottopalco la cui altezza consentiva l’inserimento di scenografie e artifizi scenici di vario tipo.
L’elevazione in verticale della torre scenica, invece, era tale da ospitare fino a tre opere montate.
A chiudere la composizione interna del Politeama Verdi c’era la maestosa graticcia superiore, che coronava tutto il palcoscenico coi suoi 120 tagli e nascondeva tutti i marchingegni usati dai tecnici durante gli spettacoli.
Su muri della graticcia, ancora oggi, sono visibili gli schizzi e i bozzetti realizzati dai macchinisti stessi.
A coprire la platea, in zona soffitto, ci pensavano delle capriate di ferro all’inglese. All’illuminazione, invece, provvedevano sei finestroni sui muri perimetrali e un sistema artificiale alimentato a gas.
A partire dagli anni Venti del Novecento, al Politeama Verdi di Carrara si iniziano a registrare i primi grandi successi.
Gli organizzatori delle rassegne non riusciranno mai ad aumentare il numero di opere rappresentate, tuttavia, i titoli scelti davano sempre più lustro al teatro. C’erano la Madama Butterfly di Puccini, l’Andrea Chénier di Giordano e Adriana Lécouvreur di Cilea.
Per avvicinare un pubblico ancor più variegato si introduce il balletto, con le rappresentazioni di opere quali Giselle e Lo Schiaccianoci. Al contempo, approdano sul palco del Politeama Verdi anche le prime formazioni circensi.
Le misure titaniche della struttura avevano permesso la realizzazione di una sala da ballo, adibita in futuro a scuola di danza e posta in concomitanza del ridotto.
Si organizzano quindi serate danzanti aperte a tutti e grandi spettacoli di varietà, in cui i carraresi avevano l’opportunità di assistere dal vivo alle commedie degli attori del momento.
Tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta, infatti, si susseguono le esibizioni di nomi altisonanti come Totò, Wanda Osiris e Renato Rascel.
Gli stessi sarebbero tornati sul palcoscenico del Politeama Verdi alla fine della seconda guerra mondiale, negli anni della rinascita culturale italiana.
Nell’arco della sua storia, il Politeama Verdi di Carrara registra due momenti di pesante crisi.
Il primo nel 1929, quando la crisi finanziaria mondiale dovuta al crollo di Wall Street costringe i gestori a ridurre drasticamente il numero degli spettacoli per mancanza di fondi.
Il secondo tra il 1941 e il 1945, nel pieno del secondo conflitto mondiale, quando la Lunigiana diventa teatro di aspri scontri tra le forze d’occupazione nazifasciste e le milizie partigiane.
Soltanto nel 1946 il Politeama Verdi può riprendere la regolare attività, con una media di 5 opere all’anno fino al 1955.
Nuove stagioni di successi erano in arrivo, ma altrettanti disagi si profilavano dietro l’angolo.
Negli anni Cinquanta il Comune di Carrara apre un’inchiesta che vede protagonista proprio il Politeama Verdi.
Nello specifico, l’amministrazione dichiara abusivi i due condomini ai lati del teatro e accusa i suoi gestori di lucrare sulla passione dei carraresi per la lirica.
Infatti, l’organizzazione subentrata a Scarsella e Ferrero avrebbe organizzato spettacoli a basso costo e di qualità scadente, facendo però pagare il prezzo del biglietto per intero.
Ciò spiegherebbe lo scarso numero di opere rappresentate negli anni precedenti e la perdita altalenante di pubblico in sala. Tuttavia, nonostante il polverone legale sollevato dalla giunta, la questione si risolve in un nulla di fatto.
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta al Politeama Verdi si realizza una cabina di proiezione nel piano mansardato e la struttura inizia a servire come cinematografo.
A questo punto il Comune di Carrara torna all’attacco e propone la revoca della concessione ai gestori del Politeama Verdi, per la prima volta dopo quasi cento anni.
Le motivazioni stavano proprio nella trasformazione dell’edificio in cinema, giacché tale attività rendeva il politeama carrarese un’attività commerciale e dunque lontana dai fini culturali codificati nell’atto notarile del 1888.
Anche stavolta, però, la disputa si dissolve nell’immobilismo.
Senza un adeguato sistema di controllo da parte del Comune, le sorti del Politeama Verdi pendevano ora nelle mani dei soli privati.
Saranno proprio i gestori, infatti, a dare inizio alla decadenza del teatro, concedendo l’utilizzo degli 800 m2 risparmiati dal cantiere di Leandro Caselli per la costruzione di nuovi edifici.
Negli anni Settanta l’equilibrio secolare del Politeama Verdi di Carrara inizia ad essere seriamente compromesso.
Un nuovo edificio cementizio sorge al lato di via Roma e va ad ostruire l’uscita di sicurezza che dava sulla strada.
A pochi mesi di distanza, l’uscita di sicurezza di via Mazzini subisce la stessa sorte, finendo occlusa da un condominio privato che trasforma le scale di servizio dei macchinisti in pianerottoli per i residenti.
In questo modo, dal lato di via Mazzini non è più possibile accedere alla graticcia e il numero delle uscite di sicurezza scende a 6.
Poco tempo dopo, anche l’uscita di sicurezza in zona retropalco diventa inutilizzabile: il cortile esterno, infatti, viene occupato dai ponteggi di un cantiere che non sarà mai completato.
Al piano mansardato le cose non vanno affatto meglio. Si realizza infatti un nuovo solaio in cemento armato, che riduce ulteriormente le uscite di sicurezza e permette di collegare tra loro i nuovi palazzi. Vi si installa persino un montacarichi, inserito nella torre di scale divenuta ad uso esclusivo dei residenti.
Nel frattempo, i due condomini laterali subiscono un progetto di riqualifica che vede i rispettivi pianterreni trasformarsi in negozi e attività commerciali. In questo modo, tutta l’area di piazza Farini (ribattezzata Matteotti dopo la guerra) diventa un vero e proprio polo residenziale.
Nel 1983 il Comune di Carrara torna ad occuparsi del Politeama Verdi e ne ordina un primo intervento di ristrutturazione.
Tanto le mura perimetrali quanto gli interni, infatti, necessitavano di un recupero abbastanza urgente e gli impianti dovevano essere ammodernati.
Per i proprietari è impossibile sostenere il costo di stoccaggio e pulitura dell’edificio, stimato in un miliardo di lire. L’intervento, inoltre, prevede anche la demolizione del solaio cementizio sul mansardato e l’aumento del numero di appartamenti dai 41 originari a 69.
Perciò, i lavori di riqualifica vengono presi in carico dalla “Caprice S.r.l”, un’azienda produttrice di gelati.
La ditta rileva la gestione di una parte del Politeama Verdi, in quanto alcuni dei membri del suo consiglio direttivo erano a loro volta membri del consorzio che gestiva il teatro.
Con un investimento di oltre un miliardo di lire, la Caprice prende le redini del politeama carrarese e dà inizio ai lavori.
Tuttavia, dinanzi alle operazioni si piazza un ostacolo: gli anarchici.
La Federazione Anarchica Italiana risultava assegnataria del ridotto del teatro sin dai tempi della guerra.
All’indomani della Liberazione, infatti, il Comitato di Liberazione Nazionale di Carrara aveva concesso agli anarchici locali l’utilizzo del Politeama Verdi per stabilirvi la propria sede.
Nello specifico, il CLN assegnava alla FAI gli spazi del ridotto, già utilizzati dal Partito Nazionale Fascista come quartier generale della federazione carrarese.
Gli anarchici si piazzano così all’interno del teatro e vi rimangono per quasi settant’anni, rispettando l’accordo siglato nel 1945 e non interferendo mai con l’attività della struttura.
Durante la loro permanenza, i membri della FAI organizzano mostre artistiche e dibattiti politici, tutti ospitati all’interno del ridotto.
Inoltre, sponsorizzano convegni e conferenze aperte ai cittadini e sostengono l’operato della Germinal, la scuola di danza del teatro che aveva preso posto nella vecchia sala da ballo. Col subentro della Caprice, però, la gestione del Politeama Verdi cambia e l’accordo col CLN rischia di essere cancellato.
La ditta fa realizzare due nuovi solai di cemento al pianterreno e al primo foyer del teatro, eliminando le volte in mattoni che reggevano la copertura e invadendo lo spazio di proprietà della FAI.
Le pesanti modifiche apportate dalla ristrutturazione cancellano in men che non si dica la scuola Germinal e vanno ad appesantire la stabilità di un edificio già di per sé fragile.
Le grosse colate di cemento armato presentano il conto nel 1989: una porzione degli interni, infatti, crolla sotto il peso dei nuovi corpi di fabbrica.
La Caprice è quindi costretta a sfrattare alcuni residenti per ragioni di sicurezza e approfitta della situazione per ordinare lo sfratto degli anarchici. Questi ultimi, tuttavia, fanno resistenza.
Dopo alcuni giorni di scontro con la polizia in tenuta antisommossa, tentano di costituire una cooperativa con gli inquilini sfrattati per assumere la gestione del palazzo.
Dopo la negazione d’accesso all’edificio, inserito nel patrimonio culturale di Carrara, il progetto perde consenso e risulta in un nulla di fatto.
La Caprice rimedia ai danni del crollo spargendo nuove colate di cemento.
La speranza, forse, era nascondere le prove degli abusi edilizi commessi durante i lavori.
Anche questo intervento, tuttavia, ha un esito disastroso. Nel 1994 si verifica un nuovo crollo interno, a seguito del quale gli anarchici ottengono il permesso di rientrare nella propria sede.
Sfruttando unicamente le proprie risorse e pagando gli oneri di tasca propria, i membri della FAI decidono di ristrutturare da soli il ridotto.
Nel 2000 viene riqualificato il salone della scuola Germinal e al suo interno trova posto la Biblioteca Archivio, i cui locali saranno restaurati dagli stessi anarchici tra il 2006 e il 2007.
Purtroppo però, nel 2008, il piano terra del Politeama Verdi subisce l’ennesimo crollo e la stabilità del ridotto torna ad essere fortemente compromessa. Così, a pochi mesi dall’inaugurazione dei nuovi spazi, gli anarchici sono costretti a lasciare un’altra volta la propria sede. Gli inquilini rimasti, così come i commercianti, vengono evacuati dai Vigili del Fuoco.
In seguito ai crolli del 2008, il Comune di Carrara dichiara il Politeama Verdi completamente inagibile.
Dopo quasi venticinque anni di gestione targata Caprice, la straordinaria opera di Leandro Caselli versava ora in un pietoso stato di degrado.
Già dal primo crollo del 1989, l’amministrazione comunale aveva denunciato la Caprice per inadempienza contrattuale ed era pronta ad acquisire il teatro. L’azienda, tuttavia, nel 1991 aveva fatto ricorso e la lentezza burocratica aveva mandato il caso in prescrizione.
Anche le Belle Arti e il Genio Civile di Carrara danno man forte al Comune, denunciando invano le inottemperanze della Caprice.
Persino gli affittuari dei nuovi appartamenti fanno causa alla ditta: gli stessi, infatti, avevano investito denaro per poi ritrovarsi con degli immobili inagibili.
Nonostante il sovrannumero di procedimenti penali, la Caprice continua imperterrita le operazioni e dopo il 2008 riapre il suo cantiere.
Ne conseguono ulteriori colate di cemento e la catramazione per 30 centimetri della cabina di proiezione nel mansardato.
Risultato: tra il 2011 e il 2013 si susseguono due crolli, gli ultimi e i più pesanti della storia del Politeama Verdi.
A mo’ di domino, il solaio cementizio dell’ultimo piano cede sotto il suo stesso peso, portandosi dietro anche i solai dei piani sottostanti. Da allora, la ferita del politeama carrarese non si è più rimarginata.
Oggi il Politeama Verdi di Carrara è il simbolo di un fallimento, la tomba scricchiolante di un’arte perduta.
Tutto il quadrilatero su cui sorge la sua struttura è presidiato da ponteggi e transenne, misure inutili quanto disperate per contrastare una scomparsa sempre più inevitabile.
Piazza Matteotti è diventata un enorme parcheggio a pagamento, mentre le attività commerciali poste ai lati del teatro sono chiuse o del tutto inagibili.
Degli interni non rimane quasi nulla: la superba eleganza dell’atrio è preda passiva di polvere e calcinacci, mentre i due ordini di palchi sono scomparsi nel grigiore del cemento.
La platea non è altro che il contenitore dei solai collassati e le assi del palcoscenico, calcate in passato da Puccini e Totò, assistono marcendo al disfarsi della graticcia.
Le infiltrazioni d’acqua stagnante provenienti dal solaio del mansardato hanno sciolto quasi del tutto gli affreschi del soffitto e la cabina del cinematografo è diventata una piccola discarica di materiali edili.
Per i danni arrecati al Politeama Verdi, la Procura di Massa-Carrara ha mandato a processo 35 persone tra impiegati, tecnici e legali della ditta Caprice.
Eppure, nonostante la grave accusa di disastro colposo, nessuno degli imputati è stato condannato. La causa è in stallo da più di tredici anni e i continui rallentamenti del processo rischiano di far cadere il reato in prescrizione.
Sebbene sia ferito nel profondo della sua essenza, il Politeama Verdi di Carrara continua a dominare piazza Matteotti con la sua imponente e severa bellezza.
Le sue tre porte, chiuse da anni sotto il colonnato bianco, aspettano ancora di riaprirsi al grande pubblico.
Ma il Politeama Verdi, prigioniero senza colpa del suo stesso cemento, non sembra trovar posto nell’agenda del progresso.
Sconta la pena il Politeama Verdi, paga lo scotto di una colpa non sua.
E intanto i suoi colori si tingono di grigio, fondendosi al cemento che lo svuota ogn’or di più.
Simone Bodini
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