L’AVARO

I soldi fanno la felicità?
La domanda del secolo, che viene brillantemente trattata nel classico di Molière, L’Avaro, in scena al Teatro Manzoni di Milano fino al 2 marzo.
Una commedia su un uomo ricco e tirchio, pronto a usare ogni mezzo per rimpinguare le proprie casse, anche sacrificando la felicità dei propri figli. Offre uno spaccato sulla società di oggi e l’approccio egoista di chi si trova in una posizione privilegiata.

Ugo Dighero è un magnifico Arpagone. Assistiamo alle dinamiche dell’uomo e dei suoi figli, e agli intrighi dei suoi collaboratori.
Unico pensiero dell’uomo è mantenere intatta e accrescere la propria ricchezza: rifiuta quindi le richieste dei figli, riduce le spese per la casa all’osso, evita di dare aiuto a chiunque lo chieda.
Nemmeno l’idea di sposare Marianna proviene quindi da un reale desiderio per la ragazza, ma solo da un calcolato ritorno economico. A nulla servono gli interventi dei servitori, Valerio, Frosina e Mastro Giacomo, e nemmeno l’amore del figlio Cleante, innamorato della stessa donna, a smuovere Argapone dalla sua posizione.
Ognuno sembra volere qualcosa da lui: che siano soldi, rispetto, amore… Ma il vecchio è sordo a ogni richiesta e arroccato nella propria avarizia.
Il finale, nonostante le tragiche premesse, si rivela lieto, grazie a un colpo di scena che molto convenientemente rende i matrimoni dei figli di Arpagone molto più allettanti. Non c’è però una reale trasformazione del protagonista, che rimane immobile.

L’ambientazione proposta da questa produzione, crea una sorta di limbo, a metà fra epoche diverse e spazi. Grazie alla scenografia pulita e modulare, lo spettatore viene trasportato negli spazi della casa di Arpagone.
Tra oggetti tenuti in teche trasparenti, la porta sull’esterno (dove sentiamo gli uccellini cinguettare: elemento naturale in contrasto col clima asettico della casa) e la misteriosa botola in cui è nascosto il tesoro del vecchio.
Il linguaggio come per le ambientazioni e i riferimenti è un mix di modernità e classico. La traduzione di Letizia Russo riesce bene a mantenere i riferimenti al testo originale, proponendo però una versione più leggibile al pubblico di oggi.
Dal 18 febbraio al 2 marzo 2025
regia Luigi Saravo
traduzione e adattamento Letizia Russo
interpreti Ugo Dighero, Mariangeles Torres, Fabio Barone, Stefano Dilauro, Cristian Giammarini,
Paolo Li Volsi, Carolina Leporatti, Rebecca Redaelli, Luigi Saravo
musiche Paolo Silvestri
costumi Lorenzo Russo Rainaldi
scene Luigi Saravo, Lorenzo Russo Rainaldi
movimenti coreografici Claudia Monti
luci Aldo Mantovani
Per informazioni e biglietti, visita il sito.