Le rovine del Politeama Verdi raccontano un passato glorioso
Il Teatro Politeama Verdi di Cremona giace solo e dimenticato all’angolo tra via Arisi e via Cesare Battisti, nel cuore del centro storico di Cremona.
La cupola del Teatro Politeama, o meglio, lo scheletro arrugginito che ne rimane, spicca ancora tra i tetti di corso Campi, una delle più importanti arterie commerciali della città, sparendo nei cieli uggiosi delle nebbie autunnali per splendere ancora, con decadente bellezza, al sole d’estate e alle luci d’inverno.
Pochi i cremonesi che lo ricordano, tanti i cittadini che lo hanno dimenticato, troppe le generazioni che tutt’oggi ne ignorano l’esistenza.
È un fantasma il Teatro Politeama Verdi, considerato uno dei teatri più belli d’Italia tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo e ridotto, ormai, ad un rudere invisibile e fatiscente.
Abbandonato da oltre cinquant’anni e dismesso da trenta, l’ex Politeama Verdi servì il mondo culturale cremonese con spettacoli di prosa, opera, concertistica, teatro lirico e circense. Chiamò sul suo palcoscenico le più importanti compagnie dell’epoca e ospitando, a più riprese, personaggi di spicco della musica e del cinema, come Wanda Osiris e il leggendario Ugo Tognazzi.
Della sua gloria non rimane che un ricordo sbiadito, perso in quel passato che non trova spazio nella frenetica e digitale modernità.
Tra progetti di riqualifica mai realizzati e proposte stroncate sul nascere dalla burocrazia, il vecchio Politeama Verdi resta sempre allo stesso posto dove Cremona l’ha lasciato. Aspetta che l’inesorabile corsa del tempo cancelli, una volta per tutte, gli ultimi resti della sua memoria.
La fondazione del Teatro Politeama Verdi risale al 1897, quando furono avviati i lavori di costruzione.
La struttura sarebbe sorta sulle ceneri del Teatro Ricci, importante spazio culturale cremonese inaugurato nel 1860 a Italia non ancora unificata. E’ andato poi distrutto, dopo appena trentasei anni di attività, nel 1896 a causa di un incendio.
Capo del progetto e direttore del cantiere fu Achille Sfondrini, architetto di fama internazionale nonché autore di altri celebri teatri quali il Lirico di Milano, lo Storchi di Modena, l’Opera di Roma e l’Apollo di Lugano.
Nel giro di pochi mesi, coadiuvato dal capomastro cremonese Enrico Bosi, Sfondrini portò a termine la realizzazione delle murature. A settembre 1897 venne completata la grandiosa cupola centrale, costruita in ferro battuto, acciaio e vetro con l’aggiunta di una copertura in piombo come rivestimento esterno.
Gli interni, sobri e lussuosi al tempo stesso, comprendevano pregiati stucchi, fini dorature, eleganti colonne e colonnette fuse in ghisa. Senza contare gli affreschi e le tanto ammirate opere di Vincenzo Guindani, che adornò gli spazi con sculture e rilievi dai motivi floreali.
Al sipario lavorò invece Antonio Rizzi, già realizzatore del sipario del Teatro Ponchielli di Cremona.
La data dell’inaugurazione fu fissata al 6 gennaio 1898. I lavori si conclusero pochi giorni prima. I più noti quotidiani nazionali titolavano l’imminente apertura del nuovissimo “Politeama Cremonese”, com’era chiamato all’epoca.
L’intitolazione a Giuseppe Verdi fu successiva.
Il maestro era solito visitare il cantiere del teatro e in seguito alla sua morte, avvenuta nel 1901, fu deciso di dedicare alla sua memoria l’intero Politeama. Un’idea già suggerito in precedenza dal Prefetto di Cremona e dalle altre autorità cittadine.
La sera del 6 gennaio 1898 il Teatro Politeama Verdi aprì le porte al pubblico, ospitando un gran galà corredato dalla messa in scena de La Bohème di Giacomo Puccini, per la quale si registrò un tutto esaurito.
Come testimoniano le cronache dell’epoca, gli spettatori si trovarono dinanzi un’opera immensa: il Politeama contava un totale di 1500 posti a sedere, disposti tra la platea, il loggione e le due gallerie.
Queste ultime ospitavano 27 palchi, a cui se ne aggiungevano tre sviluppati in verticale ai lati del palcoscenico.
La gente poteva accedere al teatro tramite cinque ingressi, di cui uno principale che con un atrio dava direttamente sulla platea e un altro dedicato esclusivamente ai posti in loggione.
Al primo piano, all’altezza della prima galleria, si trovava lo spazioso foyer decorato da stucchi e illuminato da finestre trifore, una parte del quale era dedicata al servizio bar e caffè.
Il palcoscenico, largo 21 metri e profondo 12, era incorniciato da una bocca di scena finemente decorata larga più di 9 metri e alta 10, dove spiccava, oltre a un bellissimo affresco, una balconata con balaustra utilizzata dai musicisti durante gli spettacoli circensi.
L’illuminazione, fornita da due motori a gas e due dinamo elettriche, era garantita in tutta la sala da portalampade in ferro a forma di grifone ed era amplificata dalla grossa lanterna pendente dalla cupola, il cui raggio misurava 11 metri e rifletteva la luce sui suoi vetri.
Il Politeama però vantava anche uno spazio sotterraneo, profondo almeno 3 metri e adibito a scuderia per ospitare i cavalli delle compagnie equestri, ed uno spazio sopra il palcoscenico, dov’erano posti i camerini e un serbatoio d’acqua da utilizzare in caso di incendio o per il funzionamento dei macchinari.
La rappresentazione de La Bohème, interpretata dal soprano milanese Emma Cisterna e diretta dal maestro Egisto Tango, fu un successo di pubblico e critica e da allora, il Teatro Politeama Verdi continuò a ospitare spettacoli e rassegne di qualunque tipo.
Vi ebbero luogo convegni nazionali e internazionali, conferenze, proiezioni di film (grazie all’installazione di uno dei primi cinematografi elettrici di Cremona) e tournée di circhi da tutta Europa, le cui esibizioni erano rese fattibili dalla possibilità di togliere temporaneamente il parquet della platea per permettere l’esecuzione dei numeri su un fondo nascosto di cemento.
Uno spazio poliedrico, unico, un vero “politeama” come pochi in Italia, che animò la vita pubblica cremonese anche nei due conflitti mondiali, uscendo miracolosamente indenne dal bombardamento alleato di Cremona del luglio 1944. Era il simbolo dell’arte che non moriva mai.
Verso la metà del secolo scorso, tuttavia, le cose cambiarono e il Teatro Politeama Verdi andò progressivamente incontro al declino.
Nell’ambito del piano di ammodernamento cittadino, le istituzioni cremonesi si adeguarono ai nuovi standard di sicurezza in materia di edifici pubblici e culturali. Così come deciso dal governo italiano.
La messa al vaglio del Politeama diede il via ad una serie di ispezioni, che ebbero tutte esito negativo. Per queste ragioni e per altre, forse legate ai sistemi di prevenzione degli incendi, nel 1969 la locale Commissione Prefettizia di Vigilanza sugli edifici destinati a pubblici spettacoli tolse l’agibilità alla struttura. Così il Teatro Politeama Verdi chiuse ufficialmente.
Da questo momento in poi, furono presentate al Comune di Cremona numerose proposte di restauro e altrettanti progetti di riqualificazione. Molti prevedevano anche la demolizione totale o parziale della storica struttura.
Degno di nota il piano della Banca Popolare di Cremona, che intendeva sfruttare gli spazi originari per realizzare il proprio auditorium. Un progetto che avrebbe senz’altro permesso la rinascita dell’ormai ex Politeama, ma che fu rigettato dalla Soprintendenza di allora.
Una nuova ispezione interessò il Politeama nel 1981 e giudicò l’intelaiatura di piombo della cupola un “pericolo per la pubblica incolumità”. Pertanto, l’amministrazione comunale concesse alla società proprietaria del teatro, la Capelli-Camurri e Baldaro, di asportare completamente la copertura.
Dopo i lavori di rimozione, per il Politeama fu lo sfacelo. La pioggia e neve iniziarono a filtrare dallo scheletro della cupola, rovinando pesantemente gli stucchi e le decorazioni. Inoltre stormi di piccioni si riversarono nei locali interni. Fu asportato l’intero sipario, che finì bistrattato a fare da quinta ad un cantiere edile posto in via Cesare Battisti.
Da Roma nel 1983, il Ministero dei Beni Culturali tentò di venire in soccorso del Politeama e lo dichiarò “bene di interesse particolarmente importante”.
Tuttavia, la società proprietaria fece ricorso al Tar di Brescia che, l’anno successivo, annullò il provvedimento ministeriale.
Tale sentenza abbandonò il teatro a sé stesso. Consentì, nel novembre 1990, la concessione dell’appalto alla cooperativa Campi per realizzare dei monolocali sfruttando gli spazi del Politeama in disuso.
Sparirono così i palchi, le gallerie e il loggione, già compromessi dall’incuria dei decenni precedenti e cementificati per fare largo ai nuovi appartamenti.
Tolte anche tutte le decorazioni, gli stucchi e gli arredi pregiati, ufficialmente conservati dagli addetti ai lavori ma, a livello ufficioso, andati completamente perduti.
Sparì persino il palcoscenico. Cementificato anch’esso, della bocca di scena non resta altro se non un affresco sciolto dall’umidità. E una balconata inagibile, preda di profonde crepe.
A distanza di trent’anni dagli ultimi interventi, il prezioso foyer non è più praticabile. Della platea rimane soltanto un grande cerchio vuoto, dove si accumulano costantemente calcinacci, detriti ed escrementi animali.
Quasi per paradosso, invece, si è mantenuta intatta la straordinaria spazialità che contraddistingueva il Politeama. Tanto amata dagli artisti, fu portata in gloria, forse meno di quanto meritasse, dalle passate amministrazioni comunali.
Oggi, il Teatro Politeama Verdi di Cremona è un’anima privata del suo corpo. Sembra incapace di sopravvivere alla forza del tempo e all’indifferenza di chi, né ieri né mai, se n’è voluto prendere cura.
La sua cupola non rende più l’acustica impeccabile, bensì conferisce al teatro un’atmosfera lugubre e sacrale. I silenzi sono amplificati e luci ed ombre scandiscono il continuo passare dei giorni.
Dopo il fallimento dell’ultima asta, che nel 2014 aveva fissato il prezzo della struttura a trecentomila euro. La speranza, era quella di un’acquisizione con conseguente restauro da parte di privati, il vecchio Politeama resta tagliato fuori da qualsiasi piano di recupero.
Non ci sarà futuro. Né tantomeno una rinascita come centro culturale per le compagnie teatrali cremonesi, costantemente alla ricerca di spazi per poter esprimere al meglio la loro arte.
E mentre gli ultimi nostalgici sperano ancora di vedere il suo palcoscenico animarsi di nuova vita, il Teatro Politeama Verdi continua ad aspettare… Restando legato a quella ridente città sul Po che, con la stessa velocità, ha imparato ad amarlo e dimenticarlo.
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pare che Mussolini abbia “recitato” in questo teatro in Settembre del 1920 dopo lo sciopero dei ferrovieri che protestavano contro il capo-stazione Bergonzoni e i treni militari diretti in Albania