“The Rocky Horror Picture Show”, dalle stalle alle stelle

La straordinaria storia di un cult del cinema

E’ difficile parlare di un film come “The Rocky Horror Picture Show”. Da dove cominciare, quando ci troviamo di fronte ad una pellicola diventata così iconica da essere tuttora proiettata al cinema? Beh, si comincia dall’inizio.

Il 16 giugno 1973 debutta nel West End “The Rocky Horror Show”. Con musica, libretto e testi di Richard O’Brien e regia teatrale di Jim Sharman, il musical mescolava una serie di riferimenti a generi cinematografici diversi, in un minestrone di science fiction, horror di serie B e film culturistici. Il tutto impacchettato in una soundtrack rock and roll sullo sfondo di una nuova libertà sessuale post ’68.

Lo spettacolo racconta le vicende di una coppia di neo fidanzati, Janet e Brad, tipici esponenti dell’America perbenista del tempo. Durante un viaggio in auto nel pieno di un temporale sono costretti a fare una sosta e a chiedere ospitalità in una misteriosa dimora. Si trovano così coinvolti in strane vicende legate al padrone di casa, Frank-N-Furter. L’uomo, uno scienziato travestito, crea un essere umano, Rocky, per soddisfare i propri appetiti sessuali.

Gli attori protagonisti erano tutti, per lo più, degli emergenti o comunque alle prime esperienze, come d’altronde O’Brien stesso. Nella parte del Dottor Frank-N-Furter Tim Curry, che avrebbe poi avuto una lunga e prolifica carriera nell’ambiente teatrale e cinematografico. Nei panni dei minion del dottore, Magenta, Columbia e Riff Raff, ci sono Patricia Quinn (anche interprete della Usherette), Nell Campbell e lo stesso Richard O’Brien.

rocky horror picture show
Dal film “The Rocky Horror Picture Show”, regia di Jim Sharman. Da sinistra a destra Nell Campbell, Patricia Quinn, Tim Curry e Richard O’Brien.

Lo spettacolo ottenne un immediato successo, passando via via in teatri di sempre più ampia capienza. Apprezzato per la sua natura sperimentale e per il suo spirito camp, lo show catturò l’attenzione degli amanti del bizzarro alla ricerca di qualcosa di nuovo. Trattava inoltre di argomenti di cui si era iniziato a parlare seriamente solo da poco, come la libertà sessuale e l’ipocrisia dei costumi americani.

Nel 1975 lo spettacolo arrivò a Broadway, mantenendo solo O’ Brien e Tim Curry nei loro ruoli originali. Lo stesso anno uscì l’adattamento cinematografico, “The Rocky Horror Picture Show”.

L’uscita del film contribuì a cementare il successo dell’opera teatrale, del suo autore e dei suoi interpreti… Anche se il successo non fu immediato.

Il film vide la partecipazione diretta di Richard O’Brien, che si occupò della sceneggiatura assieme a Jim Sharman. Quest’ultimo curò anche la regia. Tim Curry, O’Brien, Nell Campbell e Patricia Quinn tornarono a ricoprire i loro ruoli. La parte dell’ “eroe” protagonista, Brad, andò a Barry Bostwick, primo interprete di Danny Zuko a Broadway. Nella parte dell’eroina Janet una ventinovenne Susan Sarandon.

Meat Loaf, prima del successo della sua trilogia di dischi “Bat out of Hell” e della sua vittoria del Grammy, partecipò nel ruolo di Eddie, che aveva interpretato a Broadway. Solitamente l’attore interprete di Eddie si cimentava anche nel ruolo del Dottor Everett Scott, insegnante di Janet e Brad (lo stesso Meat Loaf l’aveva fatto). Per il film si decise di dare la parte a Jonathan Adams, il narratore nella produzione del West End. Il narratore nel film (rinominato “Criminologo”) è invece Charles Gray, che ha preso parte a due film della saga di James Bond con protagonista il recentemente scomparso Sean Connery.

Nel ruolo di Rocky, la creatura bella (ma un po’ stupida) creata da Frank, troviamo Peter Hinwood, allora fotografo e modello. Trevor White, un cantante australiano, lo doppiò nelle parti cantate. Oggi Hinwood, dopo aver partecipato solo ad altri due film, lavora come antiquario a Tangeri.

Il film fu inizialmente un flop. I diversi tentativi della Fox di mantenere interesse nei confronti della pellicola, compresa l’uscita di un nuovo poster con le ora iconiche labbra, non ebbero grande successo. Questo finché non si trovò l’ambiente in cui l’opera potesse essere apprezzato, ovvero quello dei midnight movies.

Questa espressione indica film che venivano proiettati nei cinema a mezzanotte. Solitamente si trattava di film di exploitation, oscuri o particolarmente intensi. Ad esempio “Pink Flamingos”, il film di John Waters che raggiunse lo stato di cult proprio grazie a queste proiezioni. Visto il successo che questo e “Reefer Madness”, una strampalata pellicola propagandistica anti droga degli anni 30, stavano avendo in quel circuito, si decise di riservare lo stesso trattamento alla pellicola di O’Brien e Sheridan. Mai scelta fu migliore.

Il film divenne in fretta fenomeno di culto e le proiezioni si diffusero a macchia d’olio per tutta l’America. Queste divennero occasione di interazione tra gli spettatori che riempivano ogni volta la sala, ritornando più e più volte a vedere “The Rocky Horror Picture Show”. In questa clip tratta dal film “Fame” di Alan Parker possiamo trovare una rara e preziosa testimonianza di questi screening. Gli spettatori si vestono come i personaggi, cantano le canzoni e ballano, talora rispondono alle battute con delle repliche studiate che ormai tutti conoscono a memoria.

Questo rituale va avanti dall’anno di uscita del film: tuttora molti cinema, in America, continuano a trasmettere ininterrottamente “The Rocky Horror Picture Show” per tutti i fan di lunga data o per i neofiti. Una tradizione che è arrivata addirittura fino in Italia: il cinema Mexico, a Milano, ha in cartellone il film dal 1980!

Un simile successo non ha potuto non influire anche sullo spettacolo teatrale, che nel tempo si è trasformato per accogliere e permettere gli interventi del pubblico. Il musical è stato presentato in Italia solo in occasione delle tappe di World Tour o European Tour. Poco tempo fa sono stati resi disponibili i biglietti per delle date dell’ottobre 2021, al Teatro Arcimboldi di Milano. Ma quali sono le differenze tra il film e lo spettacolo teatrale?

Come già detto il film è riuscito in un’impresa che molti registi non si sentono di assumere e che lo hanno reso, oltre che oggetto di culto, anche un documento prezioso. Parlo ovviamente della scelta di utilizzare gli attori teatrali, per quanto sconosciuti (allora) al grande pubblico. Le interpretazioni delle persone che hanno originato questi ruoli, lavorando a stretto contatto col creatore dell’opera, non possono che essere calzanti a pennello.

Quello che spicca su tutti, per forza di cose, è il magnetico Tim Curry, che con questo primo ruolo cinematografico si guadagnò (giustamente) lo stato di icona. Curry domina ogni scena non solo con la propria figura provocante, ma anche con la sua voce, i suoi movimenti e le sue espressioni. Impossibile guardare altrove quando nell’inquadratura c’è lui, sin dal primo momento in cui appare nel suo numero “Sweet Transvestite”.

Tra i membri del cast originale si percepisce una grande affinità e una profonda conoscenza dell’altro. I nuovi arrivati, come Bostwick e la Sarandon, si adattano bene a questo equilibrio già rodato. Susan Sarandon, con le sue pose plastiche e le inflessioni drammatiche, fa perfettamente il verso alle eroine svenevoli che il musical prende in giro. Bostwick, col suo passato da “T-Bird”, sembra un po’ fuori posto nei panni dell’impacciato Brad. Tuttavia tiene bene la scena e riesce ad assumere una risolutezza che si rifà al suo ruolo di “eroe”.

Pur mantenendo quasi intatta la struttura del musical originale, ci sono stati alcuni leggeri cambiamenti. In primo luogo è stata eliminata una canzone che nel musical si collocava dopo la scoperta, da parte di Brad, del tradimento di Janet con Rocky, “Once in a while”. La scena in questione fu girata ma eliminata in fase di montaggio.

Nella prima versione del musical la canzone “Sweet Transvestite” precedeva “Time Warp”. Nel film si è invertito l’ordine delle due canzoni. Questo cambiamento è stato poi mantenuto nelle rappresentazioni teatrali. Una versione rielaborata di “I can make you a man” ha sostituito la “Charles Atlas Song”. Successivamente anche questi brani subirono diversi rimaneggiamenti. Inizialmente la canzone che conclude il musical, “Superheroes”, fu eliminata dal film. In altre versioni più recenti l’hanno reintrodotta. Infine si è tagliata parte della canzone “Over at the Frankenstein Place”, eliminando i versi di Brad.

Il film non perde occasione per prendere in giro sé stesso e gli stereotipi da cui è nato: nei titoli di coda i personaggi non vengono listati solo col loro nome, ma anche con il loro ruolo. Una riduzione, quasi una presa in giro di persone che dovrebbero essere reali e invece sono soltanto “un’eroina”, “una domestica” o “una groupie”.

Il film non lesina di sfruttare le possibilità del mezzo per esplorare maggiormente i set. Questi diventano ricchi di dettagli, easter egg che ci svelano in anticipo cosa succederà o commentano ironicamente ciò che avviene. Il castello di Frank, soprattutto, strizza l’occhio alle fonti di ispirazione di O’Brien: alcuni oggetti di scena e set vengono direttamente dalla Hammer, casa di produzione conosciuta per gli horror usciti tra gli anni 50 e 70.

All’interno del maniero vediamo riproduzioni del David di Michelangelo, de “La creazione di Adamo”, ma anche di “American Gothic” di Grant Wood. Columbia indossa delle orecchie da Topolino, Magenta a fine film ha la stessa acconciatura della moglie di Frankenstein. Rocky è una chiara parodia della creatura di Frankenstein, e Frank propone a Brad e Janet di vedere “un bel film di Maciste!”. Nel finale lo scienziato cita la star del film “King Kong”, Fay Wray, e Rocky si arrampicherà proprio come il gorilla sulla parabola della RKO, la casa di produzione del classico.

Da “The Rocky Horror Show”: Patricia Quinn e Richard O’Brien riproducono “American Gothic”.
L’esempio più imponente dell’amore per la cultura pop che pervade questo film sta certamente nella scena iniziale, in cui O’Brien rivela, con la canzone “Science fiction\Double feature”, quale sia la chiave di lettura con cui interpretare l’opera apparentemente bislacca.

Nel musical il numero era intonato dalla “Usherette”, la donna che al cinema o a teatro distribuisce i pop corn e le bibite. Nel film questo brano è realizzato attraverso una sequenza poi diventata iconica. Mentre scorrono i titoli di testa delle labbra femminili (quelle di Patricia Quinn) sembrano intonare il famoso motivo, quando in realtà si limitano a fare lip syncing sulla voce di Richard O’Brien. Ne esce fuori una performance “ibrida” che già ci dà un’ottima idea della natura del film, in cui il genere e la sessualità dei personaggi vengono continuamente messi in dubbio.

In origine la sequenza sarebbe dovuta essere accompagnata da clip tratte dai film citati nella canzone, ma l’operazione sarebbe risultata troppo costosa. Si decise quindi di attenersi al look più minimal che ritroviamo nel film.

Lo spirito del “Rocky Horror Picture Show”, in effetti, può essere perfettamente riassunto in questa prima sequenza: riferimenti alla cultura pop del tempo, amore per il kitch e look minimalista. Forse sono questi gli ingredienti che, uniti all’amore per tutto ciò che è bizzarro, tutto ciò che è fuori dall’ordinario, tutto ciò che è cinema e soprattutto vecchio cinema, lo rendono un classico intramontabile. Un film curatissimo ma allo stesso tempo pervaso da un senso di patinato, di finto, forse voluto o forse dovuto a ristrettezze di budget. Fatto sta che non può non percepirsi, in molte sequenze, un ché di artigianale.

Forse è per questo che, a distanza di quarantasei anni, ricordiamo ancora il vestito dorato di Columbia, i guanti rosa di Frank, la corsa in moto di Eddie, le labbra di Patricia Quinn, l’ “hello” spettrale di Riff Raff. Forse è per questo che, dopo così tanto tempo, torniamo a guardare questo film, a ripetere le battute, a cantare e ballare il Time War. Forse perché il “Rocky Horror Picture Show” è, prima che un bel film, un’icona, un incontro di menti e di elementi perfettamente incastrati in un’occasione unica, impossibile da replicare (e c’è chi ci ha provato).

Forse perché, come recita il trailer, “Avete visto ogni tipo di film… ma non avete mai visto nulla come il ‘Rocky Horror Picture Show'”.

Silvia Strambi

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