La vera storia del Politeama di Como, meta dei grandi del teatro e location di un noto film internazionale
Correva l’anno 2013 quando, in tutte le sale della Penisola, usciva uno dei film di maggior successo del cinema italiano contemporaneo: “Il Capitale Umano”.
La pellicola, firmata da Paolo Virzì e interpretata da attori del calibro di Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Gifuni e Matilde Gioli, vedeva protagonista la ricca società brianzola e nel giro di un paio d’anni avrebbe riscosso un successo planetario.
Infatti, dopo aver vinto ben sei Nastri D’argento e sette David di Donatello nel 2014, “Il Capitale Umano” ottiene un premio anche al Tribeca Film Festival di New York e riceve due candidature agli European Film Awards nello stesso anno.
Grande opera, senz’ombra di dubbio, ma cosa potrà mai accomunare un film come “Il Capitale Umano” ad una rubrica come questa?
Semplice: la sua location. Per dare sfondo a una delle sue tre storie, infatti, Paolo Virzì ha scelto proprio un teatro abbandonato. E se questo teatro, ormai dieci anni fa, è stato attore non protagonista al cinema, oggi sarà il soggetto principale della storia che state per leggere.
Non parliamo di un teatro decaduto come tanti altri, bensì di un maestoso spazio polifunzionale capace di accogliere nomi altisonanti dello spettacolo mondiale: parliamo dell’ex Politeama di Como.
Situato a pochi passi dal Lungo Lario Trento, il Politeama di Como può considerarsi come uno dei tanti gioielli della rinomata città lacustre.
Nato dall’esigenza di frapporre un teatro più “popolare” al già esistente Teatro Sociale di via Bellini -storicamente operistico- il Politeama ha servito il florido mondo culturale comasco per quasi un secolo. Sul suo palcoscenico si sono avvicendate rappresentazioni d’ogni tipo: dalla prosa all’operetta, dai numeri circensi alle proiezioni cinematografiche, fino alla concertistica e i pubblici comizi.
Ma ciò che ha reso unico il Politeama di Como non si lega soltanto all’arte del fare teatro, perché il Politeama, per i comaschi, era e rimane un vero e proprio punto di riferimento sociale. Tra le sue possenti mura, infatti, trovava spazio persino un ristorante e un cafè chantant, frequentatissimi dal pubblico sia durante sia oltre la stagione teatrale.
Per Como, il Politeama è stata una scommessa e le sue tante decadi d’attività sembravano confermarne l’esito vittorioso.
Tuttavia, come si soleva dire nell’articolo precedente, nulla è per sempre e tutto si trasforma. Così è stato per il Politeama, le cui porte si sono chiuse nel lontano 2005, condannando la struttura a marcire lentamente sotto gli occhi dei comaschi.
L’importanza del Politeama di Como si può comprendere anche dagli illustri personaggi, italiani ed esteri, chiamati ad esibirsi dinanzi alla sua platea.
È ancora molto vivido, infatti, il passaggio di Maestri indiscussi come Luigi Pirandello e Duke Ellington, testimoniato sia dai media dell’epoca sia dai vecchi manifesti mezzi strappati sulle tappezzerie. Allo stesso tempo, è scritto sui libri di storia lo spettacolo-comizio di Filippo Tommaso Marinetti, comasco di nascita nonché poeta controverso e fondatore del Futurismo.
Impossibile, inoltre, non ricordare i concerti sold-out di Ornella Vanoni e Adriano Celentano. O ancora, le riviste e i cabaret di un pilastro della comicità italiana come Erminio Macario.
È una storia densa di successi quella del Politeama di Como, tanto da ispirare un regista come Paolo Virzì a raccontarla, seppur indirettamente, nel suo “Il Capitale Umano”.
Eppure, sembra che i film non bastino a raccontare certe storie. Né pare sia sufficiente dire a gran voce chi, forte della sua arte, ne ha scritto i capitoli. Perché il Politeama di Como, dopotutto, è come un’antologia di racconti: talmente ricco di titoli da poter soddisfare chiunque; talmente ricco di pagine da farsi leggere da pochi.
Le prime notizie certe sull’esistenza del Politeama di Como ci arrivano da alcuni rapporti ufficiali datati febbraio e marzo 1908.
Nell’arco dei suddetti mesi, infatti, la città lariana è in fermento, a causa di un dibattito partecipato dai maggiori esponenti della politica e della cultura locale. La questione riguarda la possibilità di costruire o meno un nuovo teatro, in una Como dove un Teatro Sociale esiste già dal 1813 e detiene l’assoluto monopolio del pubblico spettacolo. A scatenare le polemiche, in realtà, non è il fatto di avere due teatri nella stessa città, bensì l’ipotesi che il secondo teatro sarebbe sorto proprio accanto al primo.
All’inizio, infatti, il progetto prevede la costruzione del nuovo edificio nell’area retrostante il Teatro Sociale, già occupata dall’arena estiva di quest’ultimo.
L’anfiteatro, eretto nel 1851 dall’architetto Giuseppe Cusi, era ancora attivo e la Società dei Palchettisti -amministrante il Teatro Sociale- non era disposta ad approvarne la demolizione. Motivo di tale ostracismo era il timore di ricadute negative sugli incassi, qualora un nuovo teatro avesse fatto concorrenza all’offerta del Sociale.
Perciò, onde scongiurare il naufragio del progetto, il 22 aprile dello stesso anno si indice pubblica assemblea per costituire una nuova società, denominata “del Politeama”.
Con un capitale sociale pari a 150mila lire raccolto in meno di un mese, la neonata S.r.l è dunque abilitata alla gestione del nuovo teatro e il Comune di Como ne approva la costruzione in via definitiva. Ad ospitarne le fondamenta sarà infine un terreno comunale all’angolo tra viale Cavallotti e piazza Cacciatori delle Alpi, quindi al di fuori dell’area d’influenza del Teatro Sociale.
Il cantiere di quello che sarebbe diventato il Politeama di Como prende avvio il 1° luglio 1909 e a dirigerlo è l’architetto Federico Frigeri.
Milanese di nascita ma comasco d’adozione, Frigeri proviene dall’Accademia di Belle Arti di Brera. Ha una formazione da ingegnere, grazie agli studi presso il Regio Istituto Tecnico Superiore (oggi Politecnico di Milano) e vanta un’ampia conoscenza delle più moderne tecnologie. Quando la Società del Politeama gli affida il progetto, Frigeri ha le idee chiare: un edificio arioso e all’avanguardia, che non volti le spalle alla tradizione.
Su tali basi, l’architetto crea un quadrilatero dalle dimensioni a dir poco mastodontiche, con strutture portanti in calcestruzzo armato.
Per Como è una novità assoluta: trattasi infatti del primo edificio della città con mura portanti in cemento. Tuttavia, la novità sta anche nell’approdo di un politeama in una città provinciale. Fino ad allora, tali strutture avanguardistiche erano sorte solo nei grandi capoluoghi, come Trieste, Torino, Napoli o Palermo.
A distanza di un anno dall’apertura dei lavori, nel settembre 1910 il nuovo Politeama di Como può dirsi finalmente ultimato.
La cerimonia d’inaugurazione è organizzata la sera del 14 settembre dello stesso anno, con la messa in scena de La Bohème di Giacomo Puccini. La sala dell’architetto Frigeri desta meraviglia e stupore, sia nel pubblico sia tra le autorità presenti. Anche i membri della Società dei Palchettisti, non più in concorrenza coi colleghi dalla “scissione” del 1908, ne restano ammaliati.
Ciò che gli avventori hanno dinanzi non è un semplice teatro all’italiana, ma un vero tempio dell’arte multifunzione.
A rigor di ciò, l’anno successivo la Società del Politeama fa installare nel teatro un cinematografo e importa la settima arte anche a Como. La prima proiezione di un film al Politeama, un kolossal muto sull’Inferno di Dante, si registra in data 15 aprile 1911. Nel 1914 debutta invece il circo, i cui spettacoli saranno rappresentati con cadenza annuale fino al 1936.
L’architetto Frigeri pianifica l’aspetto e la funzionalità del Politeama di Como seguendo i canoni dello stile Liberty d’inizio Novecento.
Sia il comparto murario sia quello decorativo, infatti, si caratterizzano per l’eleganza dei colori e il lusso dei materiali utilizzati, senza mai sfociare nell’opulenza. Partendo dagli spazi esterni, il Frigeri realizza la facciata principale ripartendola verticalmente su tre piani e scandendola, in orizzontale, con due salienti lievemente aggettanti. Rimandi alla classicità sono rintracciabili nei bugnati lisci che contornano le finestre di ogni piano -in special modo gli oculi del terzo- e nell’intonaco color tortora (oggi giallastro) che copre il calcestruzzo grezzo.
L’accesso era consentito da tre portali appositamente coperti da pensiline in ferro battuto, ai quali se ne aggiungevano altri due più piccoli ai lati della porta centrale.
Questi ultimi, solitamente, si aprivano solo in caso di grande affluenza per evitare assembramenti all’esterno. All’ingresso, il pubblico pagante si ritrovava nel grande foyer del pianterreno con annessa biglietteria, da cui si diramavano le scale per le gallerie e i cinque accessi alla platea. Sempre nel foyer, a partire dal 1915, delle bacheche lignee ospitavano le locandine delle pellicole proiettate.
La sala interna del Politeama di Como rappresenta il perfetto trait d’union tra architettura moderna e tradizionale auspicato dal Frigeri.
Pur seguendo il classico schema a ferro di cavallo come i teatri antichi, infatti, la tipica suddivisione laterale in palchetti è eliminata per dare spazio a una platea più grande e capiente. Si mantiene la galleria, posta su due piani e scandita da quattro ordini di sedute, mentre scompare il loggione e il palco reale. A fare le veci dei palchi s’allungava invece una balconata con parapetti in ferro battuto, suddivisa in sei “barcacce” per lato, i cui posti variavano a seconda di come veniva gestito lo spazio.
Grazie a una simile scansione, il Politeama di Como raggiungeva la capienza massima di oltre 1300 posti a sedere.
Questi ultimi, con la rimozione del parquet della platea e della buca d’orchestra, in occasione degli spettacoli circensi scendevano sotto le mille unità. La spazialità frontale del palcoscenico, per quanto ridotta se comparata ad altri teatri omologhi, era garantita da un profondo retropalco e da un iposcenio di facile accesso. La presenza di una torre scenica in muratura, inoltre, permetteva il transito di scenografie particolarmente elaborate.
Degna di nota è la meravigliosa decorazione del boccascena, un tripudio di allegorie classiche in un’atmosfera di colori nitidi e sgargianti.
A prevalere sono le tonalità del blu e dell’oro, facilmente rintracciabili in qualsiasi edificio Liberty. Gli stessi pigmenti si ripetono anche nella cornice a motivi geometrici che impreziosisce il lucernario della volta, interamente realizzato in vetro e muratura.
Fiore all’occhiello della sala, il lucernario permetteva l’illuminazione diurna assieme al semicerchio di oculi posti sopra alla seconda galleria.
Ad illuminare le rappresentazioni notturne, invece, provvedevano una serie di lampadari elettrici in vetro pendenti dalla cornice del lucernario. Gli stessi elementi, tuttavia, pendevano anche dai parapetti della balconata, in corrispondenza delle barcacce e della prima galleria.
A dare lustro al Politeama di Como sono anche i suoi innovativi servizi accessori, offerti tanto al pubblico quanto agli artisti.
Sul lato est della struttura, infatti, era presente un ristorante con cucina e un cafè chantant con musica dal vivo e cabaret. Accedervi era possibile entrando dal foyer del pianterreno e svoltando a destra, oppure dagli unici due ingressi posti lungo la facciata orientale.
Elemento più unico che raro era la presenza di un albergo, dotato di ben 11 camere e 3 appartamenti.
Tali alloggi erano perlopiù usati come foresteria per ospitare i membri delle compagnie teatrali in trasferta. Dall’albergo, gli attori e i tecnici potevano accedere direttamente alla sala interna e ai camerini senza essere disturbati. Ancora oggi, l’albergo è riconoscibile dall’ala cubica che sporge su viale Cavallotti in corrispondenza della torre scenica.
Il Politeama di Como godrà di molta popolarità per quasi tutte le decadi del Novecento e le ragioni sono da ricercare nell’interezza del progetto.
Anzitutto, l’edificio si sposa perfettamente con l’architettura prevalente nella Como dell’epoca e non ne stravolge l’armonia. Inoltre, al di là dell’estetica, la struttura introduce elementi di modernità senza per questo stravolgere o cancellare i canoni del passato.
Il Politeama di Como unisce i velluti rossi e gli stucchi del teatro all’italiana col vetro colorato e il calcestruzzo del Liberty, senza che gli uni nascondano gli altri.
Già prima che fosse eretto, l’obiettivo del Politeama era accogliere tutte le arti performative esistenti. Pertanto, anche la sua struttura doveva darne l’esempio, rappresentando i vari modi di fare architettura teatrale.
La decadenza del Politeama di Como inizia già tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, in concomitanza con la diminuzione dell’interesse collettivo per il teatro.
Nell’arco di un ventennio, infatti, molti teatri italiani registrano un drastico calo di incassi e quelli ancora sprovvisti (soprattutto privati) sono costretti a dotarsi di cinematografo per non chiudere. Vice versa, il consumo cinematografico era in costante crescita e si sostituiva allo spettacolo teatrale come principale forma di pubblico intrattenimento.
Il Politeama di Como è cinema sin dal 1915, tuttavia, la costruzione dei nuovi multisala gli sottrae una consistente fetta di pubblico.
Inoltre, all’affluenza dimezzata della stagione teatrale si uniscono le consistenti spese dei lavori di ristrutturazione, occorsi tra il 1985 e il 1988. Durante quegli anni, il Politeama subisce un primo colpo di grazia: le due gallerie della sala interna saranno chiuse e dichiarate inagibili.
Dai primi anni Novanta sino agli inizi del Duemila, il Politeama di Como cessa l’attività teatrale e rimane operativo soltanto come cinema.
La speranza che il gigante del Frigeri potesse sopravvivere al progresso imperante, pur se snaturato nelle sue funzioni originarie e con 2/3 dei posti in meno, sembrava assumere i tratti di una certezza. Tuttavia, anche i sogni hanno il loro capolinea.
Nel 2005 viene a mancare Alberto Gaffuri, l’ultimo proprietario del Politeama di Como, lasciando il cine-teatro senza amministrazione.
Ogni tentativo di trovarne un successore si rivela vano: mantenere una struttura del genere, infatti, è ormai troppo oneroso per dei privati. Pertanto, si approva la nomina di un liquidatore e si appongono i sigilli ai portoni d’ingresso, senza la prospettiva di aprirli di nuovo. Da allora, il Politeama di Como andrà incontro al suo inarrestabile declino.
Oggi il Politeama di Como giace silenzioso nello stesso luogo in cui è sorto più di centodieci anni fa, perdendo pezzi giorno dopo giorno.
Le sue pregevolissime facciate monumentali non sono altro che pericolosi ruderi, tali da essere transennate per evitare incidenti dovuti al crollo di calcinacci sulla strada. Dal buio decennale della sala interna, fa ancora capolino la decorazione del boccascena, pur ingrigita e quasi fagocitata da muffa e infiltrazioni. Del palcoscenico rimane una catasta di gomene e legni marci, aggrappati fino all’ultima fibra ai resti del sipario imbevuto di guano.
È la tomba di sé stesso il Politeama di Como, infestato dai colombi e dai fantasmi di un passato glorioso relegato all’oblio.
Non entra più il sole dai vetri del lucernario, incrostati dall’incuria e prossimi a frantumarsi sulla platea. Non c’è più brusio nemmeno ai tavoli del ristorante, chiuso e in rovina come la foresteria degli attori. È solo merito della sua anima di cemento armato se la struttura si regge in piedi, nonostante i gravissimi danni. Senza i suoi muri portanti, forse, a quest’ora del Politeama di Como neanche si potrebbe parlare.
Tanti i progetti di riqualifica presentati alle autorità competenti in oltre dieci anni di abbandono, ma nessun vero piano di recupero strutturale per il Politeama di Como.
A manifestare per primo la disponibilità a impegnarsi per recuperare il cine-teatro è un tandem composto dal Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Como e dal Politecnico di Milano. Tuttavia, la proposta ha oneri a dir poco irrealizzabili e muore sul nascere. Nel 2008, quindi, si fa avanti l’Accademia di Belle Arti di Brera, coadiuvata dall’Università di Como e dall’Accademia di Mendrisio. Anche quest’ultimo progetto, però, subisce la stessa identica sorte per non specificate ragioni.
Seguitamente alle riprese de “Il Capitale Umano”, lo stesso Paolo Virzì aveva fatto appello agli enti preposti affinché salvassero quel teatro che gli aveva permesso di realizzare il suo film.
Inoltre, anche l’attrice Valeria Bruni Tedeschi s’era interessata al futuro incerto del Politeama, facendo anch’essa appelli rimasti del tutto inascoltati. Addirittura, nel 2016 giunge in visita alle rovine del Politeama una delegazione dalla Russia, con capofila l’attrice Ekaterina Galakhova. Proprio durante il sopralluogo nella sala interna, però, il palcoscenico crolla e quest’ultima cade rompendosi un tallone. Così i russi se ne vanno, l’edificio viene nuovamente sigillato e interdetto alle visite. Gli ultimi nomi celebri ad aver attenzionato il Politeama sono gli stilisti Dolce & Gabbana, informatisi sulle condizioni del cine-teatro in occasione di una sfilata sul lago di Como.
Nel novembre 2022, il Comune di Como acquista in toto il Politeama, per una spesa complessiva di 1.3milioni di euro a fronte di 4milioni stanziati.
Prima dell’acquisizione, infatti, la struttura era detenuta solo per l’81,63% dall’ente comunale, mentre il restante 18,37% era in mano a ben 67 privati. Da allora, ha preso avvio una prima tranche di lavori di consolidamento (pari a 35mila euro), comunque non sufficienti per arginare la sua decadenza.
Attualmente, è operativo un round table composto da 24 soggetti tra enti e persone giuridiche.
Unico scopo: trovare una soluzione per salvare l’ex Politeama. Ad ogni modo, finora, le discussioni procedono e la strada sembra più che mai in salita.
Mettendo insieme l’arte e il calibro degli artisti passati per il Politeama di Como, si ottiene un capitale umano impressionante, fatto di cultura e modi diversi d’esprimersi.
Eppure, per un motivo che va al di là del nostro potere individuale, questa storia ci dimostra che il capitale umano, spesso, non basta. E soprattutto, che da solo non serve a cambiare davvero le cose. O almeno, in questo Paese.
“Sono indignata” polemizzava -proprio dentro il Politeama- il personaggio di Valeria Bruni Tedeschi in una scena de “Il Capitale Umano”. Lo siamo tutti. Perché se i capitali sono fatti per essere mossi, l’arte è un capitale che non può permettersi di star fermo.
Simone Bodini
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