Il Guido di Suzzara: biografia di un gigante invisibile

La storia del Teatro Guido di Suzzara, testimone di cambiamenti epocali.

Chi non ha mai sognato, almeno una volta nella vita, di possedere il leggendario mantello dell’invisibilità?

Non serve certo essere Potterhead per farsi domande del genere. Dopotutto, con buona pace di J.K. Rowling, il desiderio di esistere e sparire a comando ha radici ben più umili e lontane del tempo.

Se infatti l’uomo è animale sociale, alla ricerca spasmodica di emergere e farsi notare, spesso si stufa dei continui assembramenti e dà voce a pensieri inespressi.

Ed ecco che si interroga su come sarebbe vivere in silenzio, agire e fare passando inosservato. Un desiderio comune, forse anche troppo, ma pur sempre un’utopia senza alcun riscontro pratico.

Eppure, se per gli umani ancor non è possibile diventare invisibili, per gran parte delle cose succede di continuo.

Non occorre neanche che spariscano davvero, basta che gli occhi e la memoria si dimentichino della loro esistenza.

Ha subito proprio questo il vecchio Teatro Guido di Suzzara, avvolto nella sua cappa d’invisibilità da più di trent’anni.

Pur trovandosi nel cuore commerciale della nota località mantovana, questo tempio dell’arte sconsacrato sembra impercettibile a chi gli passa dinanzi.

La sua imponente stazza non ha trovato posto nelle ristrettezze del progresso e della burocrazia ed oggi, purtroppo, non ne rimangono che i resti.

Ma la storia, si sa, concede sempre giustizia a chi la merita.

E la storia del Teatro Guido di Suzzara parla di gloria e tanti successi. Insomma, di un passato dove la sua arte era tutto fuorché invisibile.

La ridente cittadina di Suzzara, in provincia di Mantova, ha sempre avuto un legame stretto con l’arte teatrale.

Risale infatti al 1880 la costruzione del primo Teatro Comunale, eretto al centro di Piazza Castello per ospitare artisti da tutta Italia dopo secoli di produzioni itineranti. Si trattava di una sala modesta, con una capacità di 300 posti totali, atta principalmente a ospitare rappresentazioni d’opera lirica e spettacoli di burattini.

La popolazione frequentava con molto entusiasmo i suoi spazi, tuttavia, forse proprio a causa dell’uso intensivo e dell’assenza di manutenzione, il Teatro Comunale andò rapidamente incontro al declino.

Dieci anni dopo la sua inaugurazione, l’edificio presentava condizioni di instabilità tali da compromettere l’esecuzione di qualsiasi opera scenica.

Inoltre, in seguito alla crescita economica e industriale di Suzzara, il Comune approvò nuovi lavori di adeguamento urbano che coinvolgevano proprio l’area del centro storico dove sorgeva il teatro.

Perciò, con l’imminente chiusura del Comunale, nel 1890 un gruppo di quaranta notabili provenienti dalla ricca borghesia suzzarese si riunì in un Comitato e avviò le consultazioni per costruire un altro teatro a gestione privata.

La nuova sala doveva essere elegante e al tempo stesso più ampia, affinché mostrasse in modo pratico tutta la prosperità della Suzzara moderna.

La ricerca del comitato si concluse con l’approvazione del progetto dell’ingegner Francesco Piazzalunga, i cui disegni convinsero tutti e quaranta i notabili suzzaresi.

Con la delibera dell’amministrazione comunale fu aperto il cantiere in corrispondenza dell’attuale viale Zonta, dando inizio ai lavori di costruzione del nuovo teatro di Suzzara.

L’ingegner Francesco Piazzalunga conosceva bene Suzzara.

Era nato nell’attigua frazione di Luzzara e dopo la laurea in Matematica (conseguita a Mantova) e in Applicazione Edilizia (conseguita alla Scuola d’Arti e Mestieri di Napoli) aveva deciso di tornare in terra natia per dedicarsi alla sua vita pubblica.

Servì la comunità suzzarese per più di trent’anni come consigliere comunale, poi come sindaco e infine ingegnere comunale.

Quando il suo progetto fu approvato, Piazzalunga vantava un curriculum di tutto rispetto: aveva arricchito Suzzara con edifici di bellezza mastodontica, come l’ospedale civico, il cimitero monumentale e le scuole elementari. Proprio al fianco di queste ultime, quasi per uno scherzo del destino, l’ingegnere si ritrovò a dirigere il cantiere del nuovo teatro suzzarese.

A distanza di cinque anni dalla fondazione del Comitato, nel 1895 i lavori giunsero al termine e la struttura fu battezzata col nome di Teatro Sociale.

Quando il pubblico varcò le sue porte nella serata d’inaugurazione, si trovò dinanzi a un’opera sopraffina.

La platea contava 150 posti totali, cui si aggiungeva un primo ordine da 20 palchi, un secondo da 21 e un terzo da 10, somigliante perlopiù a una loggetta. Ai lati del terzo ordine si sviluppava il loggione, per il quale era riservato un ingresso ad hoc.

Agli arredi e alla decorazione degli interni lavorarono alcune delle più rinomate maestranze mantovane: i falegnami Cadalora e Vecchia-Venerio realizzarono parte dei pavimenti, gli infissi e le colonnine dei palchi, mentre il noto pittore Soncini (già decoratore del Teatro Sociale di Mantova) affrescò gli interni con motivi neoclassici. Al sipario e agli inserti di velluto invece provvide il tappezziere De Angeli.

Tutta la sala godeva di riscaldamento centralizzato ed era illuminata da una grandiosa lampada elettrica a 12 fuochi pendente dalla finta volta.

La gente poteva accedere dai tre ingressi posti sulla facciata, i quali conducevano all’elegante atrio con biglietteria. Dall’atrio si diramavano le scale d’accesso ai piani e al foyer superiore con spazio caffè.

Gli artisti invece possedevano entrate dedicate ai lati dell’edificio, che conducevano direttamente ai camerini sotterranei e al retropalco.

Prima dell’apertura ufficiale del Teatro Sociale suzzarese, i suoi palchi furono acquistati dai membri del Comitato di notabili, così da rendere più strutturata l’amministrazione delle future rassegne.

Nei giorni precedenti l’inaugurazione, le principali testate giornalistiche del mantovano sponsorizzarono l’evento con articoli e reportage dal cantiere, dando un grandissimo lustro al neonato Teatro Sociale.

Addirittura, inclusero tra le pagine dei quotidiani offerte straordinarie per partecipare alla prima: era infatti possibile acquistare un biglietto che includeva il ticket ferroviario sulle tratte di Mantova, Modena e Reggio Emilia, così da permettere l’affluenza dalle province confinanti.

Inoltre, molto risalto fu dato all’innovativo parcheggio custodito per biciclette, dov’era possibile lasciare il proprio velocipede per soli 25 centesimi di Lira.

Grazie alla continua pubblicità della stampa, alla serata inaugurale il Teatro Sociale di Suzzara registrò un tutto esaurito e lo spettacolo d’apertura, il Faust, fu un successo di pubblico e critica.

Da allora, si aprì un fortunato ciclo di rassegne seguitissime, che divennero un appuntamento immancabile anche per i più noti critici teatrali.

Sul palcoscenico del Teatro Sociale si susseguirono spettacoli di prosa, opera, serate danzanti e concerti solisti di tenori e baritoni.

Tra gli eventi più eccezionali, la partecipazione della famosa soprano Irma Monti Baldini nel ruolo di Carmen, all’interno dell’omonima opera di Bizet portata in scena in una rassegna del 1902.

Gli spazi del Teatro Sociale suzzarese furono concessi più volte per ospitare convegni politici e mostre agricole, tuttavia, era lo spettacolo a farli da padrone.

Le recensioni sempre positive e il plauso dei critici rese il Teatro Sociale di Suzzara uno spazio di prim’ordine nel mondo culturale mantovano, con grande prestigio nei territori limitrofi.

In particolare, l’avveniristico progetto dell’ingegner Piazzalunga fece eco in tutto il modenese, costituendo di fatto la base su cui l’architetto Arturo Prati sviluppò il Teatro Comunale di San Felice sul Panaro.

Nel biennio 1903-1904 ci fu un breve periodo di crisi.

La struttura, infatti, necessitava dei primi interventi di restauro. Si procedette alla ricerca dei finanziamenti, che si rivelò estremamente tumultuosa a causa dei dissapori tra i notabili amministratori riguardo le quote da versare.

Ci fu addirittura una protesta cittadina, in cui i notabili “ribelli” decisero di occupare le scuole elementari.

Estinta la crisi e chiariti i dissidi, il Teatro Sociale di Suzzara ricevette gli interventi di risanamento richiesti e poté ripartire con le nuove stagioni liriche ospitando opere come La Traviata di Verdi e Il Barbiere di Siviglia di Rossini.

Nel frattempo, le condizioni dell’ormai chiuso Teatro Comunale in Piazza Castello raggiunsero il punto di non ritorno.

A causa del pessimo stato di conservazione e vista la dotazione di un teatro più grande e nuovo, il Comune di Suzzara deliberò per la demolizione dell’edificio, smantellato nel 1914.

Un anno più tardi, però, anche il Teatro Sociale di Suzzara rischiò una fine del tutto analoga.

Con l’avvento della Prima Guerra Mondiale, gran parte del pubblico e della forza lavoro fu richiamato al fronte.

La maggior parte dei fondi pubblici fu dirottata alle casse dell’Esercito e soltanto pochi teatri di rilevanza nazionale come La Scala di Milano riuscirono a restare aperti, con spettacoli saltuari di qualsiasi genere.

Così, con le casse quasi a zero, il Teatro Sociale di Suzzara chiuse le sue porte per ben nove anni.

Dopo la fine del conflitto, il Teatro Sociale di Suzzara riuscì a riaprire i battenti.

Tuttavia, i fasti del periodo precedente sembravano già un ricordo lontanissimo.

La partecipazione era diminuita, anche a causa dell’apertura di un nuovo spazio culturale più grande e moderno nel centro storico, il Cinema-Politeama di Via Mazzini.

La struttura, entrata in funzione nel 1911, era costituita da una sala quadrangolare che ospitava una platea e una galleria. Oltre ad ospitare il maxischermo per la proiezione dei film, il suo palcoscenico vide numerose rappresentazioni di prosa ed opera firmate dalle migliori compagnie nazionali.

Indebolito dalla nuova concorrenza, il Teatro Sociale di Suzzara restò chiuso un’altra volta dal 1923 al 1929.

Seguì un altro intervento di restauro e infine, nel 1932, il suo palcoscenico ospitò l’ultimo spettacolo: La cena delle beffe di Sem Benelli.

Dopo l’ultima rassegna, la società dei notabili che l’aveva amministrato dal 1895 si dissolse e, in seguito all’ennesima di disputa con il Comune per la sua proprietà, il teatro fu acquisito dalla famiglia Giordani.

Nel 1936 il suo capostipite Giulio Giordani decise di rinominare il Teatro Sociale chiamandolo Teatro Guido, in onore al celebre giurista e avvocato del XIII secolo Guido da Suzzara.

Grande appassionato di cinema, Giordani fece installare nel teatro un cinematografo elettrico, col preciso obiettivo di riqualificare la struttura. Aveva così inizio una seconda vita.

Convinto sostenitore del cinema come forma d’intrattenimento del futuro, Giulio Giordani affidò il progetto di riconversione del Teatro Guido all’ingegnere Orazio Zapolschi di Vittorio Veneto.

L’idea era di trasformare l’edificio di Piazzalunga in un complesso ancora più grande e moderno, capace di ospitare rassegne cinematografiche e al tempo stesso mantenere quelle teatrali.

Zapolschi e Giordani inviarono la richiesta di autorizzazione formale alle autorità competenti, le quali predisposero un’ispezione della Commissione Provinciale di Vigilanza per individuare le modifiche da apportare al fine di adeguare la struttura alle norme di sicurezza vigenti.

Superata l’ispezione, il progetto dell’ingegner Zapolschi fu approvato e dopo due anni di lavori, nel 1939 il Teatro Guido tornò operativo.

La sera dell’inaugurazione, in cui fu rappresentato Giulietta e Romeo, il pubblico di trovò dinanzi un edificio completamente stravolto.

I palchi furono demoliti assieme al loggione e vennero rimosse tutte le colonnine e le apposizioni in velluto. Sparirono anche le decorazioni del pittore Soncini ma il sipario del De Angeli fu risparmiato.

La platea fu notevolmente allargata e al posto degli ordini di palchi furono inserite due gallerie superiori, che aumentarono la capienza massima del teatro di 700 unità per un totale di 900 posti complessivi.

La scelta delle gallerie fu particolarmente incentivata dal regime fascista, la cui politica in ambito culturale prevedeva l’inserimento di soli posti popolari nei luoghi di spettacolo.

Zapolschi rimaneggiò anche la parte inferiore della facciata esterna, rendendola più squadrata come comandato dai dettami razionalisti. Risparmiò, invece, la parte superiore.

Inserì inoltre nuovi corpi in scala e sostituì la copertura con una nuova in Eternit.

In corrispondenza del vecchio loggione, Zapolschi appose la cabina del cinematografo, inserendovi anche la postazione usata da un pompiere del distaccamento locale per spegnere eventuali incendi con l’estintore.

Infatti, a causa della mancanza di idranti, la sicurezza antincendio dei luoghi di spettacolo era delegata ai Vigili del Fuoco. 

Dato il suo stretto rapporto con le istituzioni del fascismo, il Teatro Guido ospitò spesso convegni e conferenze politiche, a cui non si fece mancare la presenza di alti gerarchi del Duce.

Dopo due anni di attività, nel 1941 sul palcoscenico del Teatro Guido tornò anche l’opera.

La stagione fu inaugurata con La Traviata interpretata dal celebre tenore Giovanni Malpiero. Si susseguirono sempre ottime recensioni, con un successo di pubblico e critica dopo l’altro.

Con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale il Teatro Guido subì una brusca frenata, dovuta soprattutto agli scontri e ai bombardamenti aerei che colpirono il mantovano e il modenese.

Senza subire danno alcuno, la struttura ripartì a ritmo regolare con spettacoli per tutto l’arco degli anni. Unica eccezione il 1957, che all’ultimo momento vide cancellate le sue rassegne a causa di problemi finanziari e insolvenze con le compagnie teatrali.

Dagli anni Sessanta, purtroppo, le glorie ritrovate del Teatro Guido andarono progressivamente incontro a un declino inevitabile.

La sala fu usata sempre meno e le proiezioni dei film riscontrarono successi modesti e a volte deludenti. Per ovviare alle difficoltà, il Teatro Guido fu concesso alla cittadinanza per ospitare eventi della biblioteca pubblica o gli spettacoli del teatro dei ragazzi.

Tuttavia, anche quest’ultimo utilizzo andò scemando, a causa di un guasto che aveva privato il palcoscenico del riscaldamento.

Giulio Giordani gestì il suo teatro ormai in malora fino alla morte, avvenuta nel 1980.

La proprietà passò in mano ai figli, che mantennero attivo il Teatro Guido con la sola funzione di cinema per altri tre anni.

Nel 1983 gli eredi Giordani decisero di non adeguare la struttura alle nuove norme di sicurezza, a causa dei costi troppo alti da sostenere.

Così, nell’indifferenza generale, le porte del Teatro Guido si chiusero per sempre.

Dalla metà degli anni Ottanta sono stati fatti numerosi tentativi per recuperare l’edificio, tutti andati a vuoto a causa dei vincoli asfissianti della burocrazia italiana.

La famiglia Giordani, i cui membri svolgevano altre attività oltre a gestire il Teatro Guido, non poterono mai permettersi di rimettere a nuovo la sala.

Infatti, in seguito al devastante rogo del cinema Statuto di Torino del 1983 dove morirono 64 persone, le norme di sicurezza e antincendio per i teatri divennero molto più stringenti.

Gli interventi necessari alla messa in regola della struttura erano troppo onerosi per dei privati, perciò, il Comune di Suzzara tentò di andare incontro ai Giordani.

L’amministrazione inviò una prima richiesta di fondi alla Regione Lombardia per sostenere l’acquisto dell’immobile nel 1983, assieme al prospetto di riqualifica degli spazi del Teatro Guido.

Dopodiché, non ricevendo risposta, ci riprovò nel 1987 allegando una seconda richiesta di fondi per l’acquisto a prezzo ribassato.

La Regione stavolta rispose con una bocciatura, a causa di cavilli burocratici che riguardavano anche il Ministero dei Beni Culturali e la Soprintendenza di Brescia.

Nel 1991 i Giordani provarono a rimaneggiare il teatro facendo richiesta al Comune per dei lavori di ristrutturazione, rinviata anche l’anno successivo a causa della mancata risposta dell’amministrazione.

Quest’ultima nel 1992 bocciò la proposta, decisione a cui la famiglia Giordani si oppose facendo ricordo al TAR di Brescia.

La risposta del Tribunale Regionale però arrivò soltanto sette anni dopo, nel 1999, risolvendosi in un nulla di fatto.

Ci vollero gli anni Duemila perché il Comune di Suzzara esaminasse seriamente la situazione del Teatro Guido.

Un’ispezione degli ingegneri comunali giudicò impossibili i lavori di riqualifica ma accolse la possibilità di lavori di messa in sicurezza.

Un primo pacchetto di questi fu approvato nel biennio 2002-2003 e consistette nell’apposizione di ponteggi e transenne per la delimitazione dell’area.

Nel 2015, inoltre, la giunta comunale deliberò per la rimozione della copertura in Eternit.

Corrosa dal tempo e dagli agenti atmosferici, la tettoia generava polveri potenzialmente pericolose e cancerogene che rischiavano di compromettere la sicurezza dei passanti e degli studenti delle attigue scuole elementari.

A distanza di sei anni dall’ultimo intervento, il Teatro Guido giace ancora sullo stesso piazzale.

Oggi è ridotto a un blocco d’intonaco scrostato, avvolto dalle putrelle di ferro arrugginito e infestato dai rampicanti su ogni lato.

Del vecchio splendore di fine Ottocento non resta niente, soltanto rovine e crepe.

Gli ingressi sono murati come le trifore sulla facciata, le paraste marmoree si sono disintegrate con l’umidità e dei fregi neoclassici in bassorilievo rimane solo qualche abbozzo.

L’iscrizione “Teatro Sociale” sul frontone è scomparsa come gli ornamenti a forma di pigna, mentre il timpano in stucco con lo stemma suzzarese si è sgretolato agli inizi del 2000.

Gli interni sono una scatola vuota e silenziosa, dalle insolite sfumature bluastre.

Guano di piccione e muffa divorano poltroncine e infissi, macchie di umidità sciolgono le pareti sino allo scheletro e ingenti crolli di calcestruzzo cancellano a poco a poco intere porzioni di platea e retropalco.

Buona parte delle scale è inagibile e i sotterranei, da cui l’ingegner Zapolschi tolse i camerini per apporli sopra il palcoscenico, inghiottiscono nell’oscurità la centrale elettrica e l’antico pozzo di risonanza.

Soltanto la casa del custode retrostante rientra ancora nei parametri di un recupero.

Per il vecchio Teatro Guido, invece, le tenebre dell’abbandono continueranno ancora per tanto tempo.

La sua vicenda ha riscosso l’interesse di diversi urbexer, i quali hanno sfidato il pericolo di crollo per documentare la maestosa bellezza di questo piccolo gigante di provincia.

I loro scatti sembrano aver risvegliato le coscienze dei suzzaresi, tuttavia, l’ultimo progetto di recupero in discussione dal 2016 prende ancora la polvere nelle scrivanie degli uffici comunali.

Intanto, il Teatro Guido aspetta.

Per la sua Suzzara, ormai, sarà pure diventato invisibile. Ma il Teatro Guido c’è, esiste.

E la sua grande storia dà voce al suo corpo vuoto.

Simone Bodini

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