La Divina Commedia compie 700 anni: i suoi versi più celebri e gli spettacoli che abbiamo amato
Nel mezzo del cammin di nostra vita. Inizia così la Commedia, quella che conosciamo tutti, che studiamo a scuola e che è diventata “Divina” per opera di Giovanni Boccaccio che aggiunse quell’aggettivo che oggi è a tutti gli effetti il titolo ufficiale di quel capolavoro mondiale scritto da Dante Alighieri.
Il 2021 è l’anno di Dante, sommo poeta nato a Firenze nel 1265 e morto a Ravenna nel 1321, dove ancora si trova la sua tomba.
Inoltre, dal 2019, il 25 marzo si celebra il “Dantedì”, perché proprio il 25 marzo del 1300 Dante Alighieri inizia la sua “discesa” nei tre regni, Inferno, Purgatorio e Paradiso. Ha abbandonato la retta via e per questo si affida a Virgilio che lo conduce dalla selva oscura, passando dal fuoco dei dannati fino al ghiaccio di Lucifero. Qui, l’angelo che Dio ha cacciato dal Paradiso e che ha creato quella spaccatura infernale nella Terra con la sua caduta, tiene in bocca Bruto, Cassio e Giuda. Sono i traditori per eccellenza, quelli che hanno tradito i parenti, la Patria e Dio.
un viaggio che è “nostro” e che simboleggia lo smarrimento umano, oggi come 700 anni fa, e’ attualissimo.
Sul palco è stato rappresentato dalla Musical International Company qualche anno fa, per poi ripartire nel 2018 con la voce narrante di Giancarlo Giannini e fermarsi per l’emergenza sanitaria: la Divina Commedia Opera Musical, L’uomo che cerca l’Amore, di Marco Frisina su libretto di Gianmario Pagano, ispirato al poema di Dante Alighieri. Un musical con straordinarie coreografie che, da sole, raccontavano la maestosità dell’opera.
Ma quali sono i versi più celebri?
L’elenco delle terzine note sarebbe infinito, ma alcune più di altre, sono rimaste nella memoria storica di tutti noi.
“Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere…” : sembra scritta pochi giorni fa in relazione alla situazione politica in cui ciclicamente si trova il nostro paese e invece…
Abbiamo studiato a scuola la Preghiera alla “Vergine, Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta, più che creatura…” o la profezia dell’Esilio.
Ma i versi che più sono diventati “patrimonio dell’umanità” risiedono nell’Inferno perché lì Dante, con la legge del contrappasso, ci fa riflettere, redimere e anche un pochino sorridere.
Lo sanno bene gli Oblivion, Lorenzo Scuda, Francesca Folloni, Davide Calabrese, Graziana Borciani, Fabio Vagnarelli che con la loro acuta comicità e altrettanto talento, portano in scena la letteratura.
L’avete mai visto “L’Inferno in 6 minuti?” degli Oblivion? (in fondo all’articolo, lo riportiamo per voi).
Un viaggio in musica e con ironia tra le tappe significative, da quel “Nel mezzo del cammin di nostra vita” e le tre fiere, che rappresentano il peccato, Lussuria, Superbia e Avarizia, fino a Beatrice. Dante è un uomo del 1300 e attraverso la lonza, il leone e la lupa ci regala delle metafore oggi ancora attuali.
“Caron, non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare”. Caronte ha gli occhi di bragia, è il condottiero terribile che traghetta le anime sull’Acheronte, ma Dante può passare. Quel viaggio è voluto da Dio, cioè dove tutto si può. E davanti alla porta del mondo dei dannati, Dante sa che deve lasciare ogni speranza. “Per me si va nella città dolente, per me di va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente (….)Lasciate ogne speranza, o voi ch’intrate”
E nell’Inferno ci sono tutti: golosi, lussuriosi, ladri, eretici, indovini, traditori. Nel fango, nel vento, nel fuoco e nel ghiaccio.
“Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona…” quando siamo nel V canto Dante ci narra una storia che lui conosce bene. Quella di Paolo e Francesca, perché nel suo peregrinare per l’Italia, dopo che i Guelfi Neri lo cacciarono da Firenze, approdò a Ravenna. Francesca, figlia di Guido da Polenta andò in sposa a Giovanni Malatesta, detto Gianciotto perché era goffo e grasso. Francesca non aveva che sedici anni e le nozze erano state combinate dalle famiglie, per suggellare l’alleanza tra Ravenna e Rimini. Capite bene che quando vide il cognato, Paolo, di bell’aspetto e gentilezza, l’amore prese il sopravvento. Quando i due amanti furono scoperti, Gianciotto li uccise entrambi.
La vicenda è stata rappresentata al cinema e a teatro. Nella Rocca di Gradara è esposto l’abito che indossò Eleonora Duse nella “Francesca da Rimini” di Gabriele D’Annunzio, un dono della stilista Alberta Ferretti al Castello.
Quei versi sono cantati, ritmati, parafrasati da molti artisti. Richiamano i due amanti travolti dalla bufera infernale come nella vita sono stati travolti dalla passione, ma Dante li paragona a due colombe. Sono diventati il simbolo dell’amore, quello con la A maiuscola e lo stesso Dante, pur inserendo Paolo e Francesca tra i peccatori, non li giudica, ma si fa “tristo e pio” davanti al dolore che l’amore vero può arrecare.
Quando siamo giunti quasi in fondo all’Inferno, ecco un altro verso celebre che esce dalla lingua di fuoco in cui è avvolto Ulisse. “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. L’uomo, infatti, non è stato creato per essere alla stregua delle bestie feroci, ma a immagine e somiglianza di Dio, per inseguire la virtù e la conoscenza. Un concetto che ancora oggi ci permette di indignarci davanti a episodi di orrore e disumanità.
Ed infine il Conte Ugolino. Che colpa avevano i suoi figli?
Dante è Dante, tanto che lo indichiamo anche senza il cognome.
E il 2021 è l’anno di Dante. Il suo capolavoro è ancora studiato, amato, anche odiato (dagli studenti quando devono imparare le terzine a memoria), interpretato, rappresentato.
A 700 anni dalla morte ancora è attuale perché nella sua immensa e Divina Commedia ci insegna qualcosa di molto semplice: si deve comprendere l’Inferno prima di riveder le stelle.
Sarah Pellizzari Rabolini
“L’Inferno in 6 minuti”, Oblivion (www.oblivion.it)
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