L’emozionante storia del Teatro Comunale di Salò, pronto a nuova vita dopo decenni d’abbandono.
È risaputo: niente dura per sempre. Non c’è cosa, materiale o astratta che sia, capace di conservarsi per tempi immemori.
Ne abbiamo la prova ogni giorno, soltanto guardandoci attorno: tutto muta, si evolve, va incontro a nuove forme e nuovi modi d’esistere. È un processo naturale, eppure, spesso l’esperienza ci induce a interpretarlo con accezione negativa.
Vedere qualcosa sfiorire, dissolversi o soltanto cambiare, ci costringe a modificare uno sguardo cui eravamo soliti approcciarci in maniera abituale e positiva. E se ne soffriamo, è per la sensazione d’impotenza che proviamo dinanzi a processi che vorremmo ma non riusciamo a fermare.
L’abbandono è certamente uno di questi e in due anni d’attività di questa rubrica abbiamo imparato a conoscerlo in tutta la sua complessità.
Anzi, forse i lettori più assidui avranno finito per abituarsi ai tristi epiloghi vissuti dai teatri raccontati fino ad oggi. Ora, è innegabile: la maggior parte delle nostre storie non ha un lieto fine e, purtroppo, tante ancora se ne devono scrivere.
Ma non per forza certe storie devono concludersi così. Perché niente è per sempre, neppure l’abbandono. Ce lo dimostra un antico teatro della provincia di Brescia, sito a pochi passi dalle sponde del Garda.
Incastonato in un grande edificio classico al civico 16 di piazza San Bernardino, l’antico Teatro Comunale di Salò è un’autentica rivincita dell’arte sulla decadenza.
Abbandonato dagli anni Sessanta del Novecento, la sua insegna s’affaccia sul lungolago della cittadina bresciana dalla seconda metà dell’Ottocento. Il suo palcoscenico ha servito la cultura salodiana per quasi un secolo, subendo diverse trasformazioni stilistiche che, tuttavia, non hanno mai compromesso la sua straordinaria bellezza.
Il Teatro Comunale di Salò ha visto avvicendarsi spettacoli d’ogni genere, per poi essere alienato a deposito comunale e condannato a uno straziante decadimento.
Fortuna volle, però, che la sua lenta agonia finisse un giorno di quattro anni fa, con la decisione delle autorità locali di investire sul recupero del teatro prossimo alla scomparsa. Da allora, anche grazie a una forte campagna del FAI in collaborazione col gruppo Mediaset, sono stati stanziati fondi per milioni di euro, al fine di restituire alla casa d’arte i suoi fasti perduti.
Cantiere dopo cantiere, oggi il Teatro Comunale di Salò sta per vivere una seconda vita.
Ci vorrà ancora qualche anno prima che gli applausi del pubblico tornino ad allietare le sue sale totalmente rinnovate. Ma le attese non sono infinite e neppure i cantieri sono per sempre… a volte.
E si sa: purché gli occhi provino il vero piacere, vale sempre la pena aspettare.
La storia del Teatro Comunale di Salò ha inizio nel 1869, quando il noto avvocato salodiano Luigi Pirlo si attiva per dare un palcoscenico alla sua città.
Unendosi ad alcuni concittadini della ricca borghesia locale, infatti, l’avvocato Pirlo aveva indetto con successo una raccolta firme, necessaria all’approvazione comunale del progetto. Inoltre, egli aveva già messo a disposizione una cospicua fetta del suo patrimonio familiare, al solo scopo di finanziare la costruzione del teatro.
Alleggerito dai costi dell’impresa, nel 1870 il Comune sceglie quindi di accogliere la richiesta formale dell’avvocato Pirlo, dando il via libera al cantiere. Dopo averne promosso la realizzazione, l’avvocato Luigi Pirlo provvede a trovare nuovi finanziatori dell’opera e ne affida il progetto al famoso architetto Achille Sfondrini.
Tale genio dell’architettura teatrale non è nuovo a questa rubrica: Sfondrini, infatti, risulta essere l’autore del già raccontato Politeama Verdi di Cremona. Inoltre, sua è la firma al Teatro dell’Opera di Roma e al Lirico di Milano, così come al Verdi di Padova e al Teatro Storchi di Modena.
Era necessario un professionista di rilievo nazionale come Achille Sfondrini per dare a una delle località lacustri più belle d’Italia un teatro di pregio.
Si badi che, nelle epoche precedenti, Salò non era certo orfana di un teatro: commedie prima e melodrammi poi andavano in scena abitualmente al Teatro Nobile. Tuttavia, di quest’ultimo oggi non resta alcuna traccia, poiché demolito in età pre-unitaria.
Quanto al suo aspetto, però, le cronache storiche suggeriscono fosse simile ai teatri San Cassiano o Goldoni di Venezia, essendo stata Brescia una exclave della Serenissima.
Dopo tre anni di lavori, il Teatro Pirlo di Salò -così chiamato in onore del suo fondatore- apre finalmente le sue porte al grande pubblico la sera del 1° novembre 1873.
Alla cerimonia d’inaugurazione sono presenti le maggiori cariche locali e regionali, unitamente all’architetto Achille Sfondrini e al deputato regio Giuseppe Zanardelli. Quest’ultimo, veterano del Risorgimento e amico intimo dell’avvocato Pirlo, nel 1876 avrebbe presieduto il Ministero delle Infrastrutture, passando poi agli Interni nel 1878 e alla Giustizia nel 1881.
Spettacolo inaugurale è il Rigoletto, celeberrima opera lirica di Giuseppe Verdi che registra un ottimo riscontro in sala e dalla critica.
Ciò che più colpisce del Teatro Pirlo è l’opulenta bellezza dei suoi interni: una tipica sala a ferro di cavallo decorata in stile barocchetto, con capienza totale di 550 posti.
Come si evince da una stampa del tempo, la volta del soffitto e le balaustre dei palchi erano decorate con festoni classici a tema floreale. La bocca di scena, anch’essa decorata con festoni barocchi, recava al centro un orologio meccanico. L’oculo della volta, invece, aveva il bordo affrescato da busti e cammei che rimandavano all’arte del bassorilievo romano.
La scansione degli ambienti al Teatro Pirlo di Salò rispondeva ai canoni tradizionali del teatro all’italiana: platea, tre ordini di palchi e loggione.
Gli avventori potevano accedervi secondo uno schema altrettanto classico, rappresentato da un unico portone posto al centro del grande edificio di piazza San Bernardino (all’epoca una via). Quest’ultimo conduceva al foyer con biglietteria, da cui partivano le scale laterali per accedere ai piani superiori e il corridoio diretto in platea.
Quasi a dare maggiore eleganza alla struttura, in corrispondenza del palco reale in second’ordine troneggiava un altro foyer di piccole dimensioni, contornato da eleganti campate classicheggianti.
In direzione palcoscenico, lo sguardo dello spettatore non poteva che lasciarsi catturare dallo splendido sipario di Giovanni Pessina.
L’architetto Sfondrini aveva ingaggiato l’omonimo pittore bergamasco dopo aver visionato i suoi lavori come internista al Monastero Maggiore di Milano, caratterizzati da uno spiccato realismo. Pessina riporta la medesima tecnica anche al Teatro Pirlo di Salò, dipingendo le maschere della commedia italiana in convegno a piazza del Popolo a Roma.
La sala di Achille Sfondrini si mantiene pressoché inalterata fino all’avvento del XX secolo, quando una serie di cambiamenti coinvolge in toto il Teatro Pirlo.
A mutare per prima è la dedicazione della struttura: l’avvocato Pirlo, infatti, nel 1905 vende il suo teatro alla Società Elettrica Benacense. Quest’ultima, quindi, ne diventa unica proprietaria e ne cambia il nome da Teatro Pirlo a Teatro Sociale. La stessa poi, assorbita dalla concorrente Società Elettrica Bresciana nel 1906, l’anno successivo dona al Comune di Salò il teatro, che assume la nominazione definitiva di Teatro Comunale.
Gli interni subiscono un primo rinnovamento nel 1912, con l’ampliamento del palcoscenico e la modifica perimetrale della buca d’orchestra.
Inoltre, si aggiungono al teatro nuovi impianti di riscaldamento e servizi igienici più moderni, così come nuove finiture ai palchi e nel foyer principale. Si realizzano anche nuovi camerini per gli artisti, d’accesso più agevole e in collegamento diretto col palcoscenico.
Ultime a cambiare i connotati sono le decorazioni della volta e del boccascena, modificate in un più sobrio stile Liberty conforme ai tempi correnti.
Con l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la conseguente scissione dell’Italia in due entità statali, Salò diventa capitale della neonata Repubblica Sociale Italiana e il Teatro Comunale ci si ritrova al centro.
Quale unico palcoscenico esistente in città, infatti, il Teatro Comunale è destinato a rivestire la funzione di “tempio dell’arte fascista”. Tuttavia, le sue sembianze erano troppo dissimili dagli austeri canoni stilistici imposti dal regime ai luoghi di pubblico spettacolo. Pertanto, seguendo la sorte di altri teatri come il Guido di Suzzara, il Teatro Comunale di Salò passa sotto un’imponente opera di adattamento.
Ad eseguire i lavori è il pittore salodiano Angelo Landi, che interviene soltanto sui paramenti pittorici per espresso volere della RSI.
La mano del Landi fa scomparire gli ultimi rimasugli ottocenteschi del comparto decorativo barocchetto e li sostituisce ovunque con l’iconografia Liberty. Eliminati cammei e festoni, la volta assume un aspetto elegantemente spartano, decorata con sole ghirlande floreali e motivi geometrici. Allo stesso modo, il Landi stucca i rilievi fitomorfi sulle balaustre dei palchi, causando la perdita dell’originale doratura.
Nonostante ciò, a sconvolgere davvero il Teatro Comunale di Salò è il modo in cui gerarchi e militanti repubblichini utilizzano i suoi spazi.
Poiché contrario alla politica d’austerità fascista, qualsiasi elemento decorativo considerato “di lusso” viene rimosso e sparisce. Inoltre, corridoi e palchetti diventano bacheche su cui affiggere comunicazioni, poster e slogan propagandistici. Lentamente, il teatro è spogliato della sua bellezza e alienato a semplice sala riunioni delle camicie nere.
Con la fine della guerra e la proclamazione della Repubblica Italiana, la gestione del Teatro Comunale di Salò passa nelle mani dell’impresario Carlo Pisoni Ercoli.
La sua figura, molto stimata e celebre in città, è valevole di una citazione a sé stante. Infatti, egli rappresenta l’ultima trasformazione stilistica del teatro prima della decadenza.
Pisoni Ercoli, dovendo fare i conti con la spoliazione fatta dai fascisti, opta per la rimozione completa di qualsiasi paramento decorativo. A sopravvivere è soltanto la cornice a intarsio dell’orologio sul boccascena e la loggetta del palco reale, seppur con l’eliminazione della balaustra originaria e delle erme laterali.
La sala riccamente affrescata da Achille Sfondrini si ricopre così d’un intonaco bianco anonimo, facendo guadagnare alla struttura il soprannome di “teatro bianco”.
Tuttavia, tale nomea non durerà che un decennio scarso: nel 1956 Carlo Pisoni Ercoli muore e lascia il Teatro Comunale senza gestione. Le autorità locali provano invano a porvi rimedio per quattro anni, finché nel 1960 la struttura decade dalle sue funzioni e il teatro viene progressivamente abbandonato.
Negli anni Settanta del secolo scorso, quando il Comune ne adibisce gli spazi a diverso scopo, il Teatro Comunale di Salò versa ancora in condizioni ottimali.
Obiettivo della locale amministrazione è sfruttare il teatro dismesso come base logistica, depositandovi materiale di pubblica utilità o beni sequestrati dalla polizia municipale. Pertanto, analogamente al Teatro Rossi di Pisa, l’ormai ex Teatro Comunale di Salò si trasforma in magazzino.
Platea e palcoscenico si riempiono ben presto di materiali edili in surplus, oggetti di scarto e pezzi da mobilio malandati, il cui accumulo diventa sempre più incontrollato col passare dei decenni. Aggrava la situazione il perdurare della mancata manutenzione, che causa infiltrazioni d’acqua e induce a marcescenza legni e velluti.
Lungo gli anni Settanta e Ottanta, il Teatro Comunale subisce i primi cedimenti strutturali e il Comune smantella in via definitiva il magazzino.
L’edificio, dunque, resta alla completa mercè del tempo, che anno dopo anno lo rende sempre più instabile. Gli atti vandalici, inoltre, si susseguono in rapida successione e accelerano la distruzione di un teatro già condannato all’oblio.
Negli anni Novanta, del teatro originario non resta che un polveroso scheletro a serio rischio di crollo.
A principio degli anni Duemila si effettuano interventi localizzati di restauro conservativo, svolti non per recuperare il Teatro Comunale bensì per motivi di pubblica sicurezza.
La struttura, infatti, dava segni di cedimento anche nelle porzioni esterne ed e rappresentava un potenziale pericolo per i passanti. Pertanto, nel 2002, il Comune approva un lotto di lavori per ristrutturare il tetto e la facciata. Questi ultimi si risolvono, sostanzialmente, nella cancellazione definitiva della volta interna, al fine di installarvi le campate lignee della nuova copertura.
La condizione di atroce degrado del Teatro Comunale di Salò prosegue nell’apparente silenzio delle istituzioni preposte, finché nel 2016 un videoclip cambia tutto.
A realizzarlo è Ettore Grimani, ufficiale dell’aeronautica militare e cantautore emergente, già allievo del noto vocal coach Luca Jurman. Grimani sceglie di ambientare il video del suo singolo Bella come sei (guarda QUI) proprio nel vecchio teatro, ottenendo il patrocinio del Comune.
L’arrivo di una troupe di danzatori e tecnici nella sala sventrata del Teatro Comunale risveglia, poco a poco, le coscienze dei salodiani, le cui generazioni più giovani neanche sapevano d’avere un teatro vicino casa.
Nel 2017 la fotografa bresciana Tiziana Arici sceglie anch’essa il Teatro Comunale di Salò per ambientarvi un servizio fotografico.
La mostra che ne deriva e la diffusione delle immagini su internet suscitano curiosità e interesse in tutta la nazione, sino ad arrivare ai vertici della Telecom Italia. Sarà infatti l’azienda telefonica a consacrare la fama del Teatro Comunale di Salò, ambientandovi il videoclip Lo spettacolo invisibile con protagonista la ballerina Lucia Monaco e la regia di Giulio Tonincelli.
Nel 2018 anche Mediaset si interessa al Teatro Comunale di Salò, attraverso la seguitissima trasmissione di Canale5 “Striscia la Notizia”.
Infatti, nell’ambito di una serie di puntate realizzate in collaborazione col FAI, l’inviato-acrobata Vittorio Brumotti esplora le rovine del teatro con la sua bicicletta e le fa conoscere a milioni di telespettatori (guarda il servizio QUI).
È una rivoluzione: da allora, forse anche a causa della pressione mediatica generatasi, l’amministrazione salodiana elabora un progetto edilizio per recuperare l’ex Teatro Comunale. Un pool d’ingegneri e architetti stima tre lotti di lavori per un totale di 7 milioni di euro, con l’ambizioso obiettivo di restituire le funzioni originarie a uno dei teatri più belli di tutto il Garda.
Con l’approvazione del progetto e lo stanziamento di una somma pari a 1milione e 480mila euro, nel 2019 il Comune di Salò dà inizio al recupero del suo storico teatro.
Il primo lotto di lavori, durato un paio d’anni, ha interessato l’adeguamento strutturale alle norme vigenti e la riparazione delle sezioni portanti. Avviato alla fine del 2022, invece, il secondo lotto (d’importo pari al primo) prevede il rifacimento della copertura interna ed esterna, oltre alla modifica della facciata per una futura fruibilità. Il terzo ed ultimo lotto, dal costo stimato in 2,5 milioni di euro, sarà dedicato agli arredi e all’impiantistica e attende ancora una possibile data.
Oggi il Teatro Comunale di Salò è un sopravvissuto, uscito a pezzi da mezzo secolo d’abbandono e pronto a rinascere sulle ceneri di cosa fu.
La sua nuova vita, come si evince dalla scheda tecnica del progetto, lo vedrà più grande e funzionale di prima. Infatti, il teatro vedrà la sua capienza totale aumentata a 577 unità, un golfo mistico a piani mobili per ospitare fino a 52 orchestrali, un ridotto e un servizio bar.
Il suo palcoscenico, di superficie stimata a 11 metri per 22, potrà ospitare le stagioni più variegate: dall’Opera lirica alla prosa, dal musical alla danza, dalla concertistica ai congressi.
Insomma, il nuovo Teatro Comunale di Salò saprà rispondere alle esigenze di un mondo sempre più ricco di espressioni artistiche.
Sarà una sfida, e come ogni prova che si rispetti, emoziona e fa paura. Ma l’importante, è che ci sarà un teatro completamente rinnovato per poterla affrontare.
Nell’Italia dei teatri decaduti, lasciati sgretolare sotto il peso dell’incuria, il Teatro Comunale cdi Salò ci insegna che un teatro può rinascere.
Perché niente è per sempre. Neanche l’abbandono, neanche la polvere.
Simone Bodini
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